Alias Domenica

Giorgio Mariani, guida all’inconoscibilità degli elementi in cui nuota la balena bianca

Giorgio Mariani, guida all’inconoscibilità degli elementi in cui nuota la balena bianca

Saggi critici «Melville, Moby Dick», da Carocci

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 15 maggio 2022

Come un capitano coraggioso, Giorgio Mariani ci porta attraverso le acque tempestose e le correnti profonde del più oceanico, il più esplorato e il più inafferrabile dei romanzi della letteratura americana, e non solo. Fin dall’inizio del suo Melville: guida a Moby Dick (Carocci, pp.139, e13,00) Mariani ci avverte che «navigare» in questo testo implica il trovare domande più che risposte: Moby Dick è un’opera aperta, un classico che – come nella definizione di Calvino – ancora non ha finito di dire tutto quello che ha da dire, e forse non finirà mai: è il grande romanzo americano o un’opera mondo, radicato e universale, un maelstrom di parole che Mariani esplora con ordine e chiarezza invidiabili.

La guida parte dalla origini della carriera letteraria di Melville, la svolta determinata dal suo incontro con Hawthorne e Shakespeare, la genesi del testo che si risolve in una vera e propria composizione in atto, un montaggio «fluido», a volte incompiuto e sempre fecondo di nuovi linguaggi. Segue uno per uno i personaggi e i loro rapporti, esplora i generi, i simboli, le allegorie, le storie nella storia; si addentra nella sfuggente relazione fra Ishmael e Ahab sia nel testo, sia nello sguardo di lettori e critici che di volta in volta scelgono uno o l’altro come centro e punto di vista – ma suggerisce che forse il vero protagonista è proprio l’inafferrabile Moby Dick.

Mariani dà conto dell’ormai sterminata tradizione critica che ha cercato inutilmente di ricondurre a un principio organizzatore, una struttura, una qualche forma di ordine (o qualche ordine di forma), senza mai riuscirci fino in fondo, esponendo i tentativi più plausibili, senza prendere posizione ma aiutando il lettore a scegliere la lettura che più lo convince.

Alla fine, forse, l’unica struttura portante, l’unico senso unificante è l’incompiutezza («le piccole erezioni le possono finire i loro primi architetti, le grandi lasciano sempre l’ultima pietra alla posterità. Dio mi guardi dal mai completare alcunché»), l’indefinitezza magnetica e terrorizzante del bianco della balena.
Ma neanche questo basta: è troppo comodo, infatti, rassegnarsi all’impossibile. «Perché», scrive Mariani, «se è vero che oggi molti lettori accettano l’idea d’un significato sempre differibile, si può davvero abdicare alla ricerca di un ‘messaggio’, di un metalinguaggio che possa mettere ordine nel testo e renderlo in qualche modo coerente e ‘leggibile’?» Possiamo riconoscere l’inconoscibile solo se ci accaniamo a cercarlo: alla fine, c’è qualcosa di utopico in Moby Dick, almeno come Mariani ci aiuta a leggerlo, un desiderio sempre rinviato, ma necessario, sempre cercato, mai raggiunto. A meno che…

Scrive Melville, citato da Mariani: «Mi piacciono tutti gli uomini che sanno tuffarsi. Qualunque pesce è capace di nuotare a pelo d’acqua, ma ci vuole una grande balena per scendere giù di cinque miglia o più». Cominciamo a nuotare: dopo tutto, Mariani ci offre un salvagente e forse non naufragheremo in questo mare.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento