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Giorgio Gaslini, visioni illimitate

Giorgio Gaslini, visioni illimitateGiorgio Gaslini

Tracce/La ristampa della colonna sonora di «Bali» riaccende l’interesse intorno ai lavori per il cinema del prolifico jazzman «La notte», «Profondo rosso» e altri lavori evidenziano un tocco quasi enciclopedico

Pubblicato più di un anno faEdizione del 10 giugno 2023

La recente uscita discografica Bali a firma Giorgio Gaslini, pubblicata in origine nel 1971 dalla Cinevox, induce a parecchie riflessioni. C’è un tempo, in Italia, grosso modo tra gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, in cui quasi tutti i musicisti (in particolare compositori e jazzisti) si dedicano agli score, detti anche original movie picture soundtrack o colonne sonore cinematografiche, occupandosi di ogni genere filmico: l’industria del grande schermo, all’epoca, è fiorente e organizzatissima e il ruolo del musicista risulta tanto richiesto quanto redditizio sul piano economico. Nessuno si sottrae al richiamo, anche solo con una pellicola abilmente selezionata (ad esempio il thriller sessantottesco La morte ha fatto l’uovo di Giulio Questi con score di Bruno Maderna), benché la maggior parte accetti di tutto o quasi, salvo rimuovere dall’elenco dell’opera omnia o dalla discografia completa tali «avventure», spesso frutto insapore di ripetitivo artigianato o di furbo mestiere. Emblematico resta in tal senso il caso appunto del milanese Gaslini (1929-2014) che, durante un fortunato quindicennio della cinematografia tricolore, dunque tra il 1961 e il 1975, firma molti score (per l’appunto Bali), ma di cui purtroppo non esiste ancora un elenco completo, al pari delle lacune inerenti le produzioni televisive (pubblicità compresa).

LA RISPOSTA
Quindi in parallelo all’originale ricerca sul linguaggio jazzistico tra la pionieristica suite Tempo e relazione (1957) e l’apoteosi ideologica con Murales Live (1976) restano noti, editi, usciti su disco almeno dodici soundtrack: l’iniziale La notte (1961) per Michelangelo Antonioni sembra la risposta a quanto compiuto dalla Nouvelle Vague parigina a livello di rapporti suono/immagine tra scrittura e improvvisazione (a partire dal seminale Ascenseur pour l’échafaud di Miles Davis per Louis Malle nel 1957), mentre il conclusivo Profondo rosso (1975) per Dario Argento, in cui Gaslini si alterna al prog rock del quintetto Goblin (sostituti dei rinunciatari Pink Floyd, poi pentitisi) risulta il massimo successo discografico, giacché il long playing originario riporta ogni brano tra cui l’inquietante celeberrimo leitmotiv di Claudio Simonetti.
Gli altri film non sono particolarmente memorabili, anche quando Gaslini collabora con un regista internazionale quale Miclos Jancsó, di cui proprio La pacifista (1970) rimane la pellicola meno riuscita del padre della Nouvelle Vague ungherese. Altri lungometraggi – Un amore (Gianni Vernuccio), Le sorelle (Roberto Malenotti), Le tue mani sul mio corpo (Rondi), Un omicidio perfetto a termine di legge (Tonino Ricci), Quando le donne si chiamavano madonne (Aldo Grimaldi), Il vero e il falso (Eriprando Visconti), La notte dei diavoli (Giorgio Ferroni), Rivelazioni di un maniaco sessuale al capo della squadra mobile (Roberto Bianchi Montero), Le cinque giornate (Dario Argento) in ordine tra il 1965 e il 1973 – girati quando Gaslini diventa via via il riferimento del jazz politicizzato (grazie agli album Nuovi sentimenti, Il fiume Furore, Segnali, Africa!, Fabbrica occupata, Message, Colloquio con Malcolm X, Canti di popolo in jazz, per restare in quegli anni), sono film appartenenti solo in parte al cosiddetto cinema d’autore, con alcuni registi, soprattutto durante gli anni Settanta, pronti a cavalcare la moda di svariati sottogeneri a cominciare dall’erotico post-sessantottino tra voyeurismo sexy e rivoluzione sessuale fino al poliziottesco moralistico con un action giustizialista (oggi in parte rivalutata grazie a Quentin Tarantino). In tutti i casi le colonne sonore gasliniane non si impongono, ma si adattano alle pellicole, alle storie, ai generi, ai registi, così come va facendo il collega Ennio Morricone, oggi tanto blasonato, ma anch’egli «costretto» a obbedire, sia pur col tocco del genio, ai dettami della musica d’uso. A livello stilistico, essendo un pluridiplomato al conservatorio, con una lunga militanza nella musica dotta che non abbandona mai del tutto, Gaslini è in grado di inserire nelle soundtrack un sapere enciclopedico quasi illimitato nel tempo e nello spazio, come traspare anche dalla nuova riedizione, su vinile arancio, del lungometraggio Bali (oggi AMS Records, distribuzione BTF).

UN INVITO
Dunque nel 1970 Gaslini viene invitato dal regista Ugo Liberatore – già famoso due anni prima per Il sesso degli angeli e Bora Bora – a comporre l’original movie picture soundtrack per Bali, un drammone à la page inerente il trend esotico/erotico con le vicende dei due amici, Glenn (John Steiner) e Carlo (Umberto Orsini) entrambi sulla meravigliosa isola indonesiana (da poco scoperta dal turismo di massa) per scrivere un nuovo libro. Glenn, stanco e irresoluto, sul piano caratteriale, vuole trascorrere un periodo tranquillo in quest’angolo paradisiaco, mentre Carlo, privo di dubbi o gentilezze si fa beffe di lui. A soccorrere Glenn arriva la bella giovane Daria (Laura Antonelli), moglie di Carlo, intenta a curare il malessere dell’amico fino a proporgli il proprio amore. Il gesto compassionevole, forse di eccessiva generosità, appare controproducente, giacché non impediscono all’uomo, sempre più depresso, di suicidarsi.
Originariamente uscito con il titolo Incontro d’amore a Bali è un flop al botteghino, ma dopo appena un lustro Laura Antonelli, sensuale protagonista, grazie ai successivi Il merlo maschio, Malizia, Sessomatto, Peccato veniale, diventa una star del cinema italiano sempre più fruita quale sex symbol, ragion per cui il produttore Alfredo Bini rimette in circolo la pellicola grazie a un nuovo montaggio con scene inedite girate apposta dal regista Paolo Heusch con gli attori aggiunti Ettore Manni (il commissario) e Ilona Staller (la vittima); e ridistribuito come Incontro d’amore. Il lungometraggio riscuote in sala un enorme successo, cronologicamente in parallelo all’exploit di Gaslini come jazzman popolare soprattutto negli ambienti meneghini sia studenteschi sia operai.
Passando ora, in breve alla colonna sonora, va sottolineato anzitutto il fatto che la copertina originaria, secondo l’abitudine dell’epoca, evita qualsiasi dato tecnico, salvo indicare che si tratta di musiche composte e dirette da Giorgio Gaslini, che il coro è quello dei Cantori Moderni di Alessandroni, che la voce solista è quella di Edda Dell’Orso. Musicalmente, lo score, benché unitario nel commentare soprattutto immagini paesaggistiche, possiede de facto due anime distinte, leggibili anche dai titoli dei singoli pezzi: da un lato quindi Il silenzio di Dio, Ketjak, Donna più, The Magic Theme, Gamelan ombre cinesi, Spazi, Tema della purificazione, Preghiera di un santone, Morire a Bali; dall’altro Versione triste, Shake etnico, Rito magico, Tema sacro, Tema principale ripresa 2, Celebrazione, Tema sacro 2, Tema d’amore, Tema principale ripresa 3.

DIECI PEZZI
Si intuisce perciò che, più o meno in corrispondenza dei primi dieci pezzi (lato A) il suono risulta essenziale, diretto, scarno, in perfetta coincidenza con l’edizione primaria (di oltre mezzo secolo fa) c’è dunque una bella alternanza fra cadenze, timbri, melodie tribali provenienti da strumenti a corde e a percussioni, e fra ritmi moderni oggi magari vintage nel senso delle atmosfere lounge e beat precipue di metà anni Sessanta, non senza qualche classico essenziale arrangiamento, dove prevalgono i flauti e gli archi. La seconda anima, che riguarda le dieci parallele take del lato B, risulta in fondo la stessa colonna sonora, ma in versione completamente alternata, grazie alle puntualizzazioni maggiormente classicheggianti, con un taglio per così dire sinfonico che è d’altronde merito di un’autentica orchestra, in uno stile score hollywoodiano, ulteriormente accentuato dagli interventi corali. Oggi Bali di Giorgio Gaslini verrebbe definito un misto di jazz, folk, pop, classica, etnica con una lungimiranza world music, che suona quasi ante littera

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