Quasi cinquant’anni fa il pianista e compositore Giorgio Gaslini (1929-2014) entrava in studio di registrazione per fissare su vinile la sua ampia e complessa partitura Colloquio con Malcolm X (Colloquy with Malcolm X) A Musical Action. Allo Studio 7 di Milano (l’etichetta era la Pdu) l’opera venne incisa tra il novembre 1973 e il luglio 1974; vent’anni dopo, nel 1993, la prestigiosa casa discografica della Svizzera italiana avrebbe nuovamente editato l’album, nel formato cd.
L’esperienza di Un quarto di vita. Opera da strada in due atti e quindici scene (presentata al Teatro Regio di Parma nel ’69) aveva lasciato nel pianista-compositore milanese il suo segno. Questo «canto sui diciotto anni e sull’età delle scelte, ispirato a fatti concreti e legato al clima del ’68» (Maria Giovanna Barletta, L’universo Gaslini. Guida ragionata a tutte le sue opere, scritta con Davide Ielmini, Zecchini Editore 2021) costituiva un importante precedente di quello che si potrebbe definire melodramma jazz. Le forme hanno la loro importanza ma in Gaslini servono – e si forgiano e si modificano – per esprimere l’urgenza dell’attualità e la visione che se ne offre, non per dipingerla ma per trasformarla. Così – come racconta l’autore stesso nel libro di Adriano Bassi Giorgio Gaslini. Non solo jazz (Casa Musicale Eco, 2016) – «percepivo che il jazz stava andando verso il teatro e avevo nell’animo di comporre un’opera in un atto o un oratorio-opera o un’azione scenica, come poi ho fatto, servendomi di un’orchestra di jazz (…) il coro e tre solisti di canto a impostazione lirica, però con capacità vocali moderne; infine un gruppo di attori. Avevo appena letto la biografia di Malcolm X, il leggendario leader del movimento neroamericano contemporaneo di Martin Luther King, anche lui assassinato (…), decisi di scrivere un’azione scenica, un lavoro teatrale sulla sua vita» (p. 61).

ALCUNI EPISODI
Gaslini costruì il suo progetto sonoro coinvolgendo, in primis, Ettore Capriolo («uomo di teatro, critico e saggista») che realizzò una sorta di copione-sceneggiatura evidenziando alcuni episodi dall’autobiografia «dialogici» e montandoli con materiali poetici e versi di brani musicali. Fra essi testi di James L. Hughes (protagonista del Rinascimento di Harlem, anni Venti) quali I, Too, Am American e Florida Road Workers, I’m Trying to Make It In dello scrittore e attivista afroamericano Julius Lester nonché If We Must Die dell’autore e poeta giamaicano Claude McKay. A livello di brani si attinse all’inno Say it Loud, I’m Black and I’m Proud (scritto da James Brown con Pee Wee Ellis), a Burn Baby Burn di Jimmy Collier (ispirato alle rivolte di Los Angeles del 1965) e a The Time of the Tiger del folksinger nero Len Chandler. Giorgio Gaslini, come era nel suo temperamento, si buttò a capofitto nella scrittura dell’azione scenica che completò in un mese. La prima rappresentazione del Colloquio con Malcolm X gli fu commissionata dal Teatro Margherita di Genova nel 1970 e andò in scena insieme a un’opera di Gian Francesco Malipiero. Il lavoro (regista Carlo Quartucci) ebbe un buon successo e l’opera venne di lì a poco ripresa, in forma di Oratorio, al Teatro La Fenice di Venezia dove ebbe un’ottima accoglienza. Sicuramente rappresentò l’apertura di un dialogo (in un’inedita prospettiva) tra il pubblico e una nuova idea di teatro musicale.
Nella versione incisa (che dura 41 minuti e 32 secondi, tutti in una traccia) si ascoltano in realtà sei movimenti: Homesick Blues, Il fiume furore, Quasi fast, Piuttosto lento, Canto per i martiri negri, Quasi fast, Finale drammatico. Il secondo e il quinto provengono, come materiale di base, da Il Fiume Furore, un album registrato da Gaslini con la sua big-band dal vivo il 28 maggio 1968 al teatro Lirico di Milano, una sorta di «docufilm musicale» (come lo definisce D. Ielmini) che raccontava, dall’interno e in pieno svolgimento, il ’68 in Italia e in Francia.

NESSUNO SCHEMA
Ciò che ancora oggi sorprende è la straordinaria capacità di Gaslini (in veste di autore, arrangiatore, pianista e direttore) di utilizzare – fondendoli in combinazioni sempre diverse – una voce recitante maschile (l’attore Gigi Angelillo) e una femminile (l’attrice Simona Caucia, che diventerà sua moglie), la soprano Gabriella Ravazzi, la mezzosoprano Rosemarie Deriva, il baritono Enrico Fissore, il duttilissimo Milan Chorus e la Gaslini Big Band (violino, corno inglese, otto ottoni – dalla tromba piccola al trombone basso -, pianoforte, chitarra, banjo, contrabbasso e batteria; in orchestra Giancarlo Barigozzi, Gianni Bedori, Eraldo Volonté, Bruno Tommaso e Franco Tonani). Non c’è uno schema fisso nei movimenti però ritornano, in funzione narrativa, parti (tratte dall’autobiografia) recitate sì ma illuminate dagli interventi strumentali e vocali. Lo spiritual e il gospel, il blues, il jazz (dalla polifonia New Orleans a quella del free) come la musica contemporanea appaiono quali elementi-base di un discorso sonoro pieno di soluzioni originali, impasti timbrici inediti, effetti drammatici, squarci in cui la vocalità unisce melodramma europeo alla tradizione sacra (e profana) afroamericana. La vita di Malcolm X si intreccia alla vicenda degli Stati Uniti, al KKK, a Joe Louis, alle rivolte nei ghetti, alle carceri, ai quartieri degradati, alla lotta per i diritti civili, all’omicidio dei leader. Un’opera che, a cinquant’anni di distanza, suona modernissima e di attualità e che sarebbe bello vedere nel 2023 eseguita, magari in un teatro d’opera.
Perché, allora, passarono quasi tre anni per l’incisione discografica? Il tempo trascorso è giustificabile con la complessità (e il costo) dell’operazione. Il compositore milanese dovette cercare occasione ed etichetta adeguate per una vera e propria «impresa discografica». La necessità artistica di incidere sicuramente c’era, soprattutto per fissare e tramandare un’opera rivoluzionaria nei contenuti e nelle forme in quegli anni Settanta che videro Giorgio Gaslini teorizzare ciò che, da un punto di vista artistico, da anni andava concretizzando: quella che lui stesso definì «musica totale». Il Colloquio con Malcolm X ne è un illuminante esempio.
L’idea – elaborata almeno dal 1964 – trovò adeguata formulazione in un volumetto di circa 110 pagine che la Feltrinelli pubblicò nel 1975: Musica totale. Intuizioni, vita ed esperienze musicali nello spirito del ’68. In esso, in una articolata trattazione, Gaslini affermava che «la musica è per l’uomo. La musica nasce dall’uomo per l’uomo. A noi interessa l’uomo totale. Siamo quindi per la sintesi di tutte le culture e quindi per la fusione di tutti i linguaggi musicali» (p. 99). Inoltre, allargando l’orizzonte alla società, «il sistema culturale e il sistema industriale, uccidono la musica, ogni spirito creativo e soprattutto non interpretano più la verità della storia, delle nuove generazioni, delle grandi masse dalle quali sta nascendo un mondo differente, un mondo che ha già preparato le premesse e i germi di una musica diversa, non più settoriale ma di pieno coinvolgimento, una Musica Totale» (p. 17). Del resto va evidenziato che nel 1973 il pianista aveva registrato l’album Fabbrica occupata con un ottetto internazionale, rifacendosi come ispirazione ai suoi frequenti concerti presso stabilimenti occupati, invitato dagli operai in sciopero. L’anno successivo incise, dal vivo all’Università Statale di Milano, il Concerto della Resistenza, pubblicato dalle edizioni del Movimento studentesco. Riferendosi al periodo tra il 1972 e il ’76, Gaslini ha dichiarato a Bassi che la musica «stava diventando sociale sotto la spinta dei movimenti giovanili, i quali fornivano una grande presenza di persone assetate di nuova musica (…) al di là del circuito tradizionale del jazz» (p. 68-69).
Musica totale, movimenti giovanili, rinnovamento delle forme, impegno artistico, impegno sociale. Sembra abbastanza, guardando ai nostri giorni.