Cultura

Giorgio Di Genova, nella intensa e lucida comprensione del reale

Giorgio Di Genova, nella intensa e lucida comprensione del realeUn ritratto di Giorgio Di Genova, Galleria Due Mondi, 1969

ADDII Lo storico dell’arte è morto ieri a Roma all’età di 89 anni. La sua «Storia dell’Arte Italiana del ’900», divisa per generazioni, è storia dei movimenti, gruppi artistici, rapporti tra produzione artistica e istituzioni pubbliche e private. I funerali domani a Roma al Tempietto Egizio alle 15

Pubblicato più di un anno faEdizione del 26 luglio 2023

Uno degli strumenti fondamentali per uno studioso, oltre a un rigore metodologico che non sbanda, è la curiosità che mai deve sentirsi appagata. E l’esistenza di studioso di Giorgio Di Genova, scomparso ieri a Roma, è stata contrassegnata da una rigorosa e lucida curiosità, in una carriera lunghissima, impossibile da riepilogare e densa di un cercare senso dentro la creazione artistica ovunque si palesasse, abbandonando spesso strade fin troppo facili e illuminate, nonostante una presenza assidua anche nei fatti più importanti e nelle più prestigiose istituzioni artistiche italiane, come la Biennale di Venezia e la Quadriennale di Roma.

NATO A ROMA il 23 ottobre del 1933 si laurea in questa città discutendo una tesi su Silvestro Lega, poi il perfezionamento con grandi maestri del calibro di Lionello Venturi, Cesare Brandi, Giulio Carlo Argan. Già in quegli anni Di Genova viene attirato da personalità artistiche particolari, spesso grandissime, ma appartate rispetto a una visione storiografica ancora gerarchica che divideva i «grandi» maestri dai cosiddetti minori, così l’attenzione per il Bramantino e poi uno dei suoi primi interventi sulla mostra del ’60 su Carlo Crivelli. Ma la visita alla Biennale di Venezia, sempre nel ’60, dove esponevano tra i molti Burri, Afro, Vedova, Fautrier lo votarono all’arte contemporanea. Sono anni che insieme alla formazione storico-artistica intensa, profonda, importante Di Genova forma anche la sua visione ideologica che ne farà un gramsciano intento, lungo tutta la sua carriera di critico, storico e soprattutto docente (ha insegnato Storia dell’arte contemporanea nelle Accademie di Belle Arti di Catania, Napoli e Roma), a costruire una concezione del mondo che sappia evitare le secche di analisi esclusivamente formali che non riverberano immediatamente il senso dell’opera d’arte sul moto del reale nella storia.

Marxista e, come detto, gramsciano, ancorché uscito dal partito dopo i fatti di Ungheria, dal 1974 al 1977 sarà uno dei membri del Comitato Culturale del Pci, ma già da prima animatore dei dibattiti più accesi nella sinistra di quegli anni, primo fra tutti quello tra astrattismo e figurazione, dibattito doloroso e non così stolido come si è spesso voluto raccontare, che vede nel 1965 Di Genova, in un saggio pubblicato su «Il Contemporaneo» (inserto mensile di Rinascita), prendere le distanze dal neorealismo di stampo guttusiano a favore di un «realismo globale» inteso come ricerca fondativa e dialettica di un realismo che da un lato comprenda nel reale ogni aspetto dell’umano, comprese le idee, le emozioni, il sentire e dall’altro affermi in via definitiva che il rapporto tra arte e realtà è sempre un’astrazione. Insomma, una nuova figurazione che non si ferma certo alla qualità, ma che si apra ad una giusta comprensione del reale artistico.

SONO QUESTI ANNI di intensissima attività sia nell’organizzazione di mostre, nella fondazione di gruppi e correnti sia di riviste di critica. Ricordando nella vastità, dal ’65 la serie di personali per il «Terzo Mondo» di Roma, la guida critica del collettivo «Il Girasole» fino al ’68 e la rassegna «Prospettive» (con Enrico Crispolti), per giovani «under 35». Il suo rovello critico intorno alla nozione di realismo lo conduce a cercare il reale dentro il fantastico, o forse sarebbe meglio dire il perturbante, anche in virtù di uno studio attentissimo della psicoanalisi e di Jung. Fonda infatti nel 1972 il bollettino periodico «L’arte fantastica», prova generale del quadrimestrale d’arte fantastica «Terzo Occhio» , divenuto in seguito un «trimestrale di arte e cultura» che chiuderà nel 2006, dopo essere stato luogo indispensabile per la critica italiana ed europea.

DALL’IDEA che in una ricostruzione critica sia decisivo tenere insieme nel fatto artistico l’individualità di una ricerca che si fa biografia e l’appartenenza a un gruppo che è storico, cronologico (perché nella cronologia è sotteso un vissuto collettivo non tralasciabile) e generazionale, nasce la monumentale Storia dell’Arte Italiana del ’900. Divisa per generazioni, la storia dei movimenti, delle correnti, dei gruppi artistici, dei rapporti tra produzione artistica e istituzioni pubbliche e private, dell’arte nella sua interezza di fatto, viene ricomposta attraverso le vicende di artiste e artisti. Viene cancellata qui l’intollerabile idea di artisti maggiori e artisti minori, ciascuna biografia appare a chi legge elemento imprescindibile per l’esatta comprensione della storia dell’arte, e non solo, dell’Italia.
Nelle migliaia di pagine di Giorgio Di Genova intorno all’esplorazione sull’arte, secondo una sua definizione, c’è poi una rarità nel mondo della critica, l’attenzione alla bella scrittura, alla parola come materia senziente che è anch’essa elemento di identificazione del fatto artistico. Il magico realismo della parola.

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IL SALUTO. Ad Arianna il nostro abbraccio

In questo momento doloroso tutto il collettivo del «manifesto» abbraccia con grandissimo affetto la nostra cara e preziosa Arianna Di Genova, per la perdita del padre Giorgio. Esprimiamo la nostra vicinanza alla famiglia, a Franco, Matilde e Anita. E a Patrizia, per la scomparsa del marito.
La commemorazione funebre sarà domani a Roma, giovedì, al Tempietto Egizio alle ore 15.

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