Giorgio Canali: «Siamo sempre meno liberi. La voce è sempre quella del padrone»
Musica «Pericolo giallo» è il nuovo album con i Rossofuoco. «Il disco è una fotografia dei nostri tempi ma anche un’esca buttata lì in mezzo. La speranza è che qualcuno invece di ascoltare rap gangsteristico, si svegli un po’»
Musica «Pericolo giallo» è il nuovo album con i Rossofuoco. «Il disco è una fotografia dei nostri tempi ma anche un’esca buttata lì in mezzo. La speranza è che qualcuno invece di ascoltare rap gangsteristico, si svegli un po’»
Con il consueto piglio corrosivo e dissacrante, Giorgio Canali ritorna alla musica, sempre insieme ai fedelissimi Rossofuoco, con un decimo album dal titolo Pericolo giallo, una fotografia spietata degli ultimi anni e una riflessione critica sul ruolo dell’essere umano all’interno di un Occidente ormai profondamente segnato dagli eventi recenti. A tre anni di distanza dell’ultimo disco, Venti, l’album ne è la naturale prosecuzione, sia a livello tematico che musicale, come ci ha raccontato Giorgio al telefono qualche giorno fa «Mi piace considerare Pericolo giallo una sorta di Venti 2.0. Non si è risolta una sola delle tematiche affrontate lì. Siamo sempre meno liberi, anzi fintamente liberi, “beccaccini” come si dice in Romagna, abbocchiamo all’amo. La voce è sempre unica ed è quella del padrone. Credo si debba continuare a lanciare un piccolo allarme a nostra volta, visto che quelli lanciati dal potere a volte sono infondati». Composto da dodici tracce, Pericolo giallo, come il disco precedente, è stato composto a distanza insieme ai membri dei Rossofuoco «Nel 2021 era a causa dei Dpcm, questa volta è stata una scelta. Abbiamo seguito lo stesso iter: ognuno faceva partire delle idee e le faceva girare, ci si scambiava il “pacchetto”. Come del resto abbiamo sempre fatto anche di persona. Ci trovavamo a improvvisare, io tagliavo le improvvisazioni, le codificavo in forma canzone e alla fine scrivevo le parole».
Una fotografia spietata degli ultimi anni e una riflessione critica sul ruolo dell’essere umano all’interno di un Occidente ormai profondamente segnato dagli eventi recenti
IL TITOLO del disco si riferisce a una definizione di fine Ottocento, una proto forma di “terrorismo mediatico” che allarmava l’Occidente sul vertiginoso aumento della popolazione in estremo Oriente. Ma cosa spaventa di più Canali degli allarmismi contemporanei? «Il fatto che la gente, per paura, agisca in un determinato modo, vista anche l’ondata di collaborazionismo in epoca Covid. In 1984 di Orwell ci sono i bambini che denunciano i genitori e viceversa e questo tipo di reazione, indotta dalla paura, rende sgherri del sistema. Ma ci sono altre cose che mi fanno paura. Pensa al collettivo musicale P38, indagati per apologia di reato per aver rievocato le Br con riferimenti espliciti nei brani e negli allestimenti sul palco. Quando però una band come i 270bis cantavano dieci anni fa una canzone come Claretta e Ben non sono mai stati indagati. L’ho scritto nel mio brano Un filo di fumo, bisogna andarci cauti con le parole. Quando chiesero a Cossiga come era riuscito negli anni ’70 a sconfiggere il terrorismo rosso, lui rispose: “ Li abbiamo trattati da delinquenti e la gente ci ha creduto”. Questo mi spaventa. Ora tocca ai ragazzi di 20, 25 anni cambiare le cose ma non solo con le marce per l’ecologia ma prendendo le bandiere e tirando i sassi. Può sembrare anche questa apologia di reato ma sono state queste cose che hanno sempre alimentato il “nuovo”». Il disco nasce dal voler consapevolizzare o si tratta invece di una volontà estetica precisa nel rappresentare questi tempi post-apocalittici?
CANALI RISPONDE «È una fotografia ma anche una specie di esca buttata lì in mezzo. La speranza è che qualcuno, invece di ascoltare rap gangsteristico, si svegli un po’ e ogni tanto succede». Tra i brani che spiccano, Pulizie etiche denuncia come il politicamente corretto abbia ormai invaso il pensiero comune. Una “minaccia” che l’ex chitarrista di Cccp, Csi e Pgr non teme possa ritorcersi contro l’album «A volte, per certe mie dichiarazioni, mi fanno passare per salviniano o meloniano e non posso farci niente. Ma se la signora Giorgia Meloni dichiara un giorno che Dio non esiste non è che divento cattolico e vado a messa per fare il contrario di quello che dice lei. Come canto in Cosmetico: «Quando ci interessa più la forma del discorso che il discorso in quanto tale, allora, abbiamo perso».
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