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Giorgia Del Mese, il fascino «indie» di una voce

Giorgia Del Mese, il fascino «indie» di una voceGiorgia Del Mese

Il disco Il ritorno della cantautrice con il nuovo album «Di cosa parliamo»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 28 settembre 2013

Nel 2011, Giorgia Del Mese si era presentata sulla scena indipendente italiana con il disco, Sto bene (Pains Records). Esordio felice, seguito a riconoscimenti come il Premio Bindi 2010 e l’apertura del Premio Tenco 2011. Di lei avevamo scritto, elogiandone più che convinti la capacità di unire a morbido rock e ballate per chitarra acustica, versi mai in tentazione di immagini facili e parole tanto ad effetto quanto vuote.

Di Giorgia, oggi, torniamo a scrivere, dopo aver ascoltato il suo lavoro appena uscito, Di cosa parliamo, (RadiciMusic). E l’ascolto non solo conferma i positivi giudizi già espressi, ma registra un ulteriore e lungo passo in avanti compiuto da questa artista salernitana, che Firenze e i suoi musicisti hanno adottato. Intorno a lei si sono radunati Alberto Mariotti, in arte King of the Opera, ormai ben più di una giovane promessa; Paolo Benvegnù, Fausto Mesolella, Alessio Lega, Andrea Franchi, insieme ai compagni di sempre, il bassista Lorenzo Forti e un ispirato Bernardo Baglioni alla sei corde.

La voce della cantautrice, attraversata da una timbrica profonda che le conferisce sicuro fascino, possiede una prerogativa fondamentale: quella di essere la sola possibile per cantare ciò che l’ispirazione ha messo in pagina sullo spartito. Ascoltatela mentre in Agosto (la traccia più luminosa del disco) chiede a qualcuno: «Vienimi a prendere/agosto si è ubriacato/chiamo e non mi risponde/E poi si offende/se dico che fa caldo/e lui si sente novembre».

Oppure ironizza in Spengo: «Ma colleghiamoci adesso/con lo zoo di Berlino/Una mamma orsa ha adottato/uno scoiattolo albino/Poco distante lo scontro/di un centro sociale/Ma è un ottantenne che urla/Voglio la mia pensione». E, ancora, scaccia l’agguato della stanchezza di un amore in Imprescindibili, duetto d’artista con Paolo Benvegnù: «E siamo imprescindibili/in questa casa vuota/vuota che rimbomba/Ci condanna e ci inchioda/la felicità». Nessun altra voce potrebbe restituire a queste immagini altrettanta forza espressiva. Acustica ed elettronica, percussioni e archi, stendono il tappeto sonoro. La sua trama continua ad essere quella di Sto bene, ma anche qui si avverte netta la ricerca di strade nuove senza tradimenti o incertezze rispetto alle scelte originali.

La partenza è affidata al rock scandito di Stanchi, poi ci si adagia sulla morbidezza melodica di La mia nuova casa, smentita però dalle parole; l’amarezza sorridente ma non troppo di Alla rovescia si divide tra accenni a richiami latini quasi sussurrati e affermazioni che hanno bisogno, di nuovo, del rock: «La pace armata non è un ossimoro/ma una birra analcolica/quando hai voglia di bere/e quella normale fa male». Avanti così, dentro un percorso che, al termine, impone qualche domanda. Riusciranno musicisti di indubbio valore qual è Giorgia Del Mese, a meritarsi la luce di un riflettore che non sia luce illusoria? Riusciranno, Giorgia e tanti altri musicisti, a rendere degno di una manciata di notorietà ciò che consegnano a un album e diffondono in una miriade di piccoli concerti? Bob Dylan cantava di una risposta nel vento. E il vento di gran parte del mercato discografico pare, per molte ragioni, soffiare contro. Ma, proverbialmente,la speranza deve essere l’ultima a morire.

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