Nulla di nuovo sul fronte del Mes. Lunedì l’Eurogruppo ha provato a processare, anzi a riprocessare il ministro dell’Economia italiana per la mancata ratifica. Erano volate scintille a volontà già nella riunione precedente, dove però Giorgetti, trattenuto a Roma dalla bocciatura dello scostamento di bilancio, non c’era. Stavolta invece l’imputato era presente ma l’esito è stato identico. Il ministro prende tempo, concede vaghe assicurazioni sulla ricerca di una “soluzione politica” ma evita impegni di sorta.

LA SCENA SI È RIPETUTA ieri alla riunione di Ecofin, che sulla questione Mes non sarebbe competente ma viene coinvolto lo stesso perché l’Italia, tramite Giorgetti ma anche per bocca di Tajani, mira ad allargare il campo della discussione. Da un lato insiste per collegare direttamente la riforma del Mes all’Unione bancaria e a quella fiscale, tutti obiettivi al momento fuori portata. Dall’altro mercanteggia offrendo la ratifica immediata della riforma del Fondo Salva Stati in cambio dell’esclusione delle spese del Pnrr e di quelle per gli aiuti all’Ucraina dal calcolo del deficit. Ma se sulla ratifica l’Eurogruppo si era scontrato con il muro di gomma italiano, sulle richieste di Giorgetti e Tajani è l’Italia a sbattere contro il muro d’acciaio dei rigoristi, in particolare tedeschi. «Se iniziamo a legare ogni cosa, diventa difficile andare avanti: ogni dossier deve fare storia a sé», frena a tavoletta il vicepresidente e capo falco Dombrovskis. La Germania è contrarissima allo scorporo del Pnrr ma lo è anche di più a un’unione bancaria che preveda la garanzia comune sui prestiti. La trattativa resta in altissimo mare.

Giorgetti però, in tandem con l’omologa spagnola Nadia Calvino, attacca su un altro fronte, quello dei profitti eccezionali che le banche stanno realizzando grazie alla stretta sui tassi d’interesse decisa dalla Bce. L’italiano e la spagnola hanno tutte le ragioni e qualche consenso lo raccolgono ma per ora le cose non vanno oltre la vibrata denuncia che tuttavia migliora le posizioni di quelli che per primi hanno posto il problema, dunque di Giorgetti.

Le delicatezze diplomatiche e i giri a vuoto intorno al nodo del Mes sono indicativi. La riforma deve essere esecutiva entro la fine di quest’anno perché si attivi il fondo di salvaguardia per le banche. Bruxelles avrebbe a disposizione strumenti contundenti per esercitare pressioni molto forti sull’Italia, che sta chiedendo una «rimodulazione a 360 gradi del Pnrr», dunque qualcosa che somiglia molto a una riscrittura del Piano che va approvata da una commissione che, fino a pochissimo tempo fa, assicurava piena indisponibilità. Sempre entro la fine dell’anno dovranno essere definite le nuove regole finanziarie europee: per l’Italia la proposta della commissione, che costerebbe circa 9 miliardi l’anno, è già un capestro che però potrebbe diventare molto più soffocante ove fossero accolte le richieste di ulteriore stretta sul rientro dal debito di Berlino. Eppure la commissione continua a usare il guanto di velluto e anzi inizierebbe a farsi strada una certa rassegnazione, la convinzione che alla fine Roma non ratificherà la riforma e ci sarà ben poco da fare.

L’INSOLITA MORBIDEZZA dipende probabilmente da due fattori distinti anche se parzialmente intrecciati. Da un lato la paura che alla vigilia delle elezioni europee la mano pesante rafforzi le già molto temute forze anti Europee un po’ in tutta l’Unione. Dall’altro la posizione di vantaggio strategico assicurato all’Italia dalla linea iperatlantista del governo. Per Giorgia Meloni, politicamente, la guerra è un affare d’oro.