Gino Paoli, il riposo del Fauno
Intervista Gli amici di un tempo, la politica, il senso delle cose: la ruvida ironia del grande cantautore
Sono venuto altre volte in questa casa, una casa abbarbicata alla collina di Quinto con una terrazza che ricorda, per posizione, lo SkyWalk sul Colorado. La vista che si gode da quassù è indescrivibile: a sinistra, all’orizzonte, si staglia Punta Chiappa che ha difeso da sempre la casa di Tenco sulla Ruta e a destra lo sguardo spazia fino alle propaggini del ponente di Genova.
Camminiamo avanti e indietro con la cadenza tipica del recluso nell’ora d’aria. Ma è un paragone improprio; per un attimo, un lungo interminabile attimo, siamo due amici che parlano dei casi del mondo, delle forze che questo mondo lo fanno girare, l’amore, l’odio di uomini in guerra, il motivo che ci vede su questa terrazza sono le ricordanze di amicizie che sembravano indissolubili, di amori negati e a volte violenti che sembravano farti scoppiare il cuore ed oggi riposti nella memoria. Tanto il nostro respiro è orgasmatico nella brezza che sale dal mare e la vista si perde dietro le piroette di una petroliera.
Una volta seduti volevo subito chiedere a Gino Paoli del fratello Guido ma ecco che mi precede, proprio quando gli parlo della nostra testata: «Anche mio fratello era del manifesto, stava dalla vostra parte – ride compiaciuto – Era docente all’Università di Genova. Ad un certo punto, cominciò ad essere roso dall’insoddisfazione per dei progetti naufragati. Era un uomo di una dirittura morale rara».
Il Bar Igea della Foce, in via Cecchi, era un punto d’incontro obbligato. Luigi Tenco stazionava al bar un giorno sì e l’altro pure. È stato anche il tuo ‘posto delle fragole’?
Come no! Io, Luigi, Lauzi ed altri musicisti facemmo dell’Igea una sorta di quartier generale. E il bar era frequentato da una strana umanità: puttane, ladri, papponi. E però fra quella gente correva uno strano sangue, tutti ci relazionavamo senza pregiudizi, nessuno giudicava un altro per la strada che aveva intrapreso, al bancone tra un bicchiere e l’altro capitava di parlare con un ingegnere o un ladro e l’empatia che si creava non aveva bisogno della carta d’identità.
Domanda secca. Sei credente?
(Paoli risponde con ironia calcolata anche se, almeno all’inizio, tende a confonderti, nda) Come no?! Io a quello là lo chiamo tutti i giorni e gli chiedo conto del perché faccia morire, nel mondo, tanti bambini, gente innocente che non voleva la guerra, e lui mi dice sempre che è un suo disegno, che un giorno capirò e allora m’incazzo e non chiamo più… almeno per qualche giorno…
Ti definisci un provocatore, a scuola eri uno scapestrato eppure i tuoi erano brave persone, ti amavano, da cosa nasce secondo te essere stato una sorta di border-line?
A certe cose non c’è una spiegazione. Si è così piuttosto che in un altro modo. Ero insofferente e non mi piaceva studiare. E la maggioranza degli insegnanti per me avevano sbagliato mestiere. A proposito dei genitori hai ragione, io amavo moltissimo mio padre. Quando si ammalò lasciai perdere tutto e tornai in casa, la casa dove ero stato adolescente, e lo curai per tre anni, fino alla fine. Quella casa lì, dove vivevo con i miei, io non l’ho mai venduta, non l’ho mai voluta vendere.
Musicalmente, furono i V-disk alla base della vostra preparazione musicale.
Esatto. Se li portarono appresso gli americani, a me li regalavano uno in cambio di un pomodoro. V-disk sta, come sai, per Victory. Erano dei 78 giri che contenevano un’infinità di canzoni. Li avevano stampati per dare un po’ di sollievo alle truppe. Ti devo spiegare questa cosa. Mussolini aveva disposto che ogni pezzo di terra, foss’anche un fazzoletto, andava sfruttato, coltivato. Al nostro pezzetto di terra pensava mio padre – un pezzetto di terra minuscolo di fronte casa nostra- e ho questo ricordo nitido: un americano mi regalava un V-disk in cambio di un pomodoro. I V-disk ci hanno cambiato la vita immergendoci in una realtà musicale completamente diversa che finì per formarci. È grazie a questi dischi che cominciammo a conoscere Frank Sinatra e Gerry Mulligan. Io ne conservo ancora qualcuno.
Nel libro dici una cosa condivisibile: un fatto è l’artista un fatto è l’uomo. Dovremmo considerare un uomo per quello che fa non per quello che è.
Certo, ribadisco. Chet Baker, ad esempio, che è stato un mio idolo, umanamente era disgustoso. Non solo non parlava che di sé ma era il modo che indisponeva. In parole povere, il leit-motiv era che lui era lui e tutti gli altri erano merde. Ed è solo una cosa fra le tante. Come musicista lo adoravo, vatti a risentire i duetti con Stan Getz.
Con Tenco eravate inseparabili, avvezzi a fare degli scherzi incredibili.
Non finirò mai di dire che Tenco era un uomo allegro, esattamente l’opposto di quello che molti hanno descritto. L’uomo cupo, immalinconito è una leggenda ad uso e consumo di quelli che non hanno avuto l’onestà intellettuale di scavare nel personaggio. A volte Luigi -come me, d’altronde- s’atteggiava a James Dean, si metteva in un angolo arrovellato, pensoso e questo attirava la curiosità delle donne. Erano loro attratte da noi. Non eravamo bellissimi, certamente Luigi più di me, ma la curiosità che suscitavamo dava i suoi frutti. Facevamo degli scherzi incredibili. Una volta, dopo aver visto un film, decidemmo di copiarlo. Entrammo in uno stabile, salimmo al secondo piano. Io mi misi sul cornicione facendo intendere che mi volevo buttare di sotto, lui a scongiurarmi di non farlo. Si radunò un sacco di gente, capimmo che era il momento di darci un taglio prima che cominciassero a prenderci a calci in culo per davvero. E quella volta a Roma? Eravamo alloggiati in un albergo dei Parioli, sotto si stava svolgendo un campionato di tiro al piattello. Be’, facemmo un buco alla finestra, giusto lo spazio per la carabina, e cominciammo a tirare al piattello precedendo i tiratori i quali rimanevano sbigottiti: chi stava abbattendo i piattelli? Un altro scherzo era un po’ più da bastardi, lo ammetto. Facevamo la cacca in un giornale, chiudevamo l’incarto, lo mettevamo all’ingresso di un negozio dandogli fuoco. Chi era dentro usciva preoccupato e, per spegnere il fuoco, cominciava a pestare il pacco…potrei stare delle ore a parlartene e te ne dico un altro. Luigi aveva la fissazione di tagliare la cravatta all’interlocutore. Cominciava a parlare con uno, lo fissava e poi, all’improvviso con una forbice, zac! (Paoli non la smette di ridere, divertito come se quegli scherzi fossero capitati appena un giorno prima).
Tenco, alla fine, fu fatto fuori…
…per me era troppo intelligente, per molti versi un duro, non poteva spararsi per un fatto così banale, l’esclusione dal Festival per Io tu e le rose… (ascolta con interesse che chi lo intervista ha scritto un libro dove si dice, su fatti documentali suffragati dal lavoro di medici legali, che Tenco fu ucciso. Ebbene, in una intervista posteriore ha parlato a questo proposito di ‘un colpo di teatro’, di un episodio di imitazione; a riguardo, prendiamo a prestito le sue parole tratte dalla biografia «…io ogni tanto dico delle cazzate senza rifletterci…»)
Sono incuriosito da un personaggio che faceva parte della vostra cricca, Sergio Sandrini. Me ne parli?
Sandrini era un pianista eccezionale, con due mani grosse così ma era matto da legare. Anche qui, ti racconto un episodio. Siamo in macchina insieme, andiamo ai 100 all’ora, quando lui mi chiede a che serve ‘questa cosa qui’ (il freno a mano). Intuisco le sue intenzioni ma prima che io possa fiatare lui lo tira e cominciamo ad avvitarci su noi stessi…è finita bene però. Ma lui no, non finì bene, una sera si è sparato. Per la gran confusione mentale, direbbe Lauzi.
Mi raccontavano di quando eravate un po’ tutti alla Pensione del Corso, a Milano, e lui si era incapricciato della moglie di Bagnasco e chiedeva a Tenco di presentargliela…
…ma poteva presentargliela?! Luigi l’ha sempre avuta ‘sta cosa di prendere le mogli degli altri…
Non voglio tornare su cose già note, e di cui tu stesso hai finalmente parlato , sappiamo che il motivo del vostro dissidio -tuo e di Luigi- fu che Luigi ti ‘rubò’ per una volta la Sandrelli.
Sì, ma quello che ho realizzato purtroppo solo dopo tanto tempo è che Luigi non lo fece da maldestro, non fu in quel caso l’ episodio di un ‘vizio’, lui mi voleva bene e ne voleva moltissimo alla mia prima moglie, Anna, e voleva che io non rovinassi il mio matrimonio. Avrei dovuto cercarlo, nel tempo, per riappacificarmi con lui ma non accadde e questo è il mio cruccio, uno dei miei dolori più grandi.
Mi parli della tua esperienza da politico?
Mi sono buttato nell’impresa con tutto me stesso, per servire, ma mi sono accorto presto che le logiche della politica seguono sentieri diversi. Pensavo che mi sarei occupato di spettacolo, per migliorare l’ambiente che mi aveva espresso, ma fui messo ai trasporti. Anche lì, mi diedi da fare al meglio ma alla fine la cultura del compromesso vinse. Non fui ricandidato, non mi ricandidai.
La tua esperienza in Siae?
(comincia a ridere, nda) Mi stavo seriamente spendendo per difendere i diritti dei musicisti quando ecco che mi denunciano per evasione fiscale. Si trattò di una bolla di sapone, di un’accusa infondata come fu dimostrato, ma intanto la frittata era fatta.
Tu credi al binomio: canzone d’autore= poesia? E del progetto, cioè, di mettere i vostri testi nelle antologie per la scuola?
Ascolta, noi cantautori proveniamo dritti dritti dai trobadores e, più recentemente, dalla cultura di Brel , di Brassens, di Prévert. Quindi sì, perché no? Tu sai che alle radici del fado di Lisbona e quello di Coimbra c’è proprio questa differenza: da una parte la descrizione della saudade, dall’altra la ricerca di una maggiore matrice poetica, che ne cambia anche l’impiantito musicale. Il fado coimbrese deriva dalla poesia provenzale del medioevo.
Cosa provi pensando all’Ucraina, alla guerra tra Israele e Hamas? E come finirà secondo te?
Vorrei dirti una gran pena, ma rischierei d’essere retorico. Ho vissuto la guerra e conosco bene l’odore delle armi, dei cadaveri in putrefazione, l’idea di provvisorietà che la guerra regala ai più deboli, ai vinti.
Mi chiedi come finirà. Non bene secondo me. Comunque finirà quando i grandi avranno una convenienza a farla finire la guerra. Quello che ha fatto Hamas il 7 ottobre è atroce ma i palestinesi non c’entrano e s’allontana l’idea di una nazione palestinese. Per l’Ucraina temo che s’avvererà quello che dice Putin: non rinunceremo alle terre conquistate. Ma c’è sempre un però, la speranza di qualcosa che possa, ancora una volta, meravigliarci.
Perché il Paese va a destra? È pur vero che la destra è stata votata, in percentuale, da una minoranza ma, insomma, il trend è quello.
In parte è quello che hai detto. La metà del Paese non vota più, le gente punta su un cavallo ‘nuovo’ stufa di promesse e, soprattutto, della irresolutezza di molti politici. Ma io non posso non essere ottimista. Al buio segue spesso un rinascimento.
Riporto una riflessione di Carlo Sini, filosofo: «C’è accidentalmente capitato di nascere. Si tratta di riportare questo evento a qualcosa di utile per noi e gli altri». Tu come la pensi?
Sono d’accordo. La vita non ha senso. È un contenitore, tocca a noi dargliene uno e questo tentativo orienta la nostra vita. Poi devi mettere nel conto un pizzico di buona sorte o, anche, il classico mattone che ti cade in testa. Ma in questo caso nessuno ci può fare niente.
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