Esiste una bella fotografia scattata nel 1910 in cui appare Giacomo Balla, all’aperto, una chitarra in mano, mentre intrattiene un gruppo di familiari e amici. Da un lato sta la moglie Elisa Marcucci con la figlia seienne Luce, dall’altro siede la madre, con quella stessa matronale imponenza con cui il pittore la ritrasse qualche anno prima, facendone un dipinto monumentale. Dietro la madre, in piedi, un giovane dall’aria divertita e dai capelli arruffati, forse da un subitaneo refolo di ponentino, osserva la scena.

Quel giovane, classe 1893, si chiamava Gino Galli, ed era appena entrato nello studio di Balla per apprendere e praticare la pittura, diventandone in breve l’allievo più amato e promettente. E fino a qualche tempo fa la conoscenza sulla sua attività era limitata a questo suo gravitare intorno alla ben più rilevante personalità del maestro futurista, che con lui condivise, in una cartolina inviata nel 1912 da Düsseldorf, il motivo astratto che avrebbe portato alle famose Compenetrazioni iridescenti – «Ecco Gino, un tipo di IRIDE guardiamo di perfezionarlo e renderlo ancora migliore di fusione», scriveva Balla. Si conosceva poi qualche dipinto futurista eseguito da Galli negli anni dieci, qualche rada menzione negli studi dedicati a Balla e al futurismo romano, e poche altre tracce.

In foto, il pittore (a destra) con la famiglia di Giacomo Balla (che suona la chitarra), 1910, Roma, coll. priv.

Grazie a un certosino lavoro di ricerca, condotto su opere e documenti inediti da Edoardo Sassi e Giulia Tulino, la personalità e l’opera di Galli sono state recentemente ricostruite dopo quasi un secolo di oblio, e rese fruibili al pubblico nella prima retrospettiva dedicata all’artista, visitabile gratuitamente fino al 6 maggio al MLAC – Museo Laboratorio Arte Contemporanea dell’Università La Sapienza di Roma. La mostra, forte di circa cinquanta dipinti e accompagnata da un catalogo ricco di contributi scientifici (ed. De Luca), conduce lungo il percorso artistico seguito dal pittore, dai primissimi tentativi divisionisti, perfettamente inseriti nei binari della ricerca pre-futurista balliana, agli ultimi paesaggi romani. In mezzo, la convinta partecipazione al movimento futurista, ritmata durante gli anni dieci da una fitta produzione di dipinti, illustrazioni, e anche contributi teorici pubblicati sulle riviste cardinali del dibattito futurista. Alla ricerca di una sua cifra futurista peculiare, Galli lavorò per variare le lezioni balliana e boccioniana, come del resto fecero molti giovani futuristi del tempo, scontrandosi infine con la questione della deriva decorativa a cui sembrava inesorabilmente destinata la direzione astrattista di parte della ricerca futurista. E si veda ad esempio il dibattito avuto in proposito con un altro allievo di Balla, Julius Evola, che aveva finito per trasmutare il futurismo in astrattismo.

Preso in una simile impasse e deluso da come l’ambiente futurista aveva perso la schietta ingenuità dei tempi eroici, Balla stesso sarebbe tornato a una pittura di «realtà nuda e sana»; anche Galli visse un analogo allontanamento dal futurismo tra gli anni venti e i Trenta, svolgendolo entro i ranghi di un ritorno all’ordine fatto di vividi ritratti e nature morte, talvolta stranianti – erano i tempi di Novecento e del Realismo magico –, con qualche punta coraggiosa nella produzione sconciamente erotica, rappresentata in mostra da due seducenti quanto brutali olî, quasi pornografici. E parlando di pornografia, sensazione bizzarramente affine la provoca una natura morta datata al 1940 in cui, su un tavolino, giacciono posti con studiata noncuranza oggetti del quotidiano: una spazzola da abiti, un vaso di cristallo, una scatola d’argento, un pacchetto stropicciato di sigarette AOI (acronimo di Africa Orientale Italiana), e una rivista aperta su una fotografia di cronaca, e in quella fotografia, terribilmente riconoscibili, Mussolini e Hitler durante uno dei loro incontri ufficiali.

Un percorso artistico, quello di Galli, che scopriamo tutto sommato coerente, nonostante dai primi anni venti il pittore sembrò ritirarsi dai circuiti espositivi, proprio nel momento in cui il suo riconoscimento all’interno della comunità artistica era in una fase di piena ascesa e consolidamento. Tale stranezza è probabilmente da mettere in relazione con una vita personale misteriosa e umbratile, vissuta in equilibrio imperfetto tra la dimensione sociale pubblica e quella privata. I testi in catalogo profondono dettagli biografici, restituendoci, da un lato, l’immagine di un artista riservato, che viveva la sua ricerca in modo tutt’altro che superficiale («Galli è passato solitario attraverso molte esperienze: s’è tormentato dassolo, nel suo studio, come un martire, dipingendo quadri e quadri», lo descriveva Marcello Gallian nel 1934 dalle pagine di «L’Occhio del mondo», comprendendolo infine tra «coloro che han sempre rifuggito dalle facili glorie, dalle mostre fatte tanto per farle, dalle esibizioni personali»); dall’altro quella di un uomo che doveva ridurre a uno, nella propria vita, elementi terribilmente discordanti come un’omosessualità vissuta apertamente e l’essere fascista, che lo porterà persino a un coinvolgimento con la polizia politica fascista, l’OVRA, in qualità di informatore. Oltre gli aneddoti, nell’eclissamento prematuro di Galli ebbe forse un ruolo l’amicizia giovanile con Giuseppe Bottai – i cui tratti fisionomici sono stati da alcuni indovinati nel giovane protagonista di uno dei ritratti erotici di Galli –, la cui folgorante carriera politica nelle fila della gerarchia fascista potrebbe aver portato alla rottura con il pittore, con conseguente damnatio memoriae.

Di certo Galli non fu una personalità particolarmente influente o decisiva per gli sviluppi dell’arte, come invece furono suoi colleghi più blasonati. Ma, come spesso accade, illuminare la vita e la ricerca di quegli artisti perdutisi o ritiratisi discretamente tra le anse più nascoste della storia dell’arte getta di riflesso luce sui contesti circostanti, permettendone una maggiore e più profonda comprensione.