Ginevra Nervi, catturare suoni
Creare mondi sonori in cui il pubblico possa immergersi e trovare una connessione profonda con le immagini di un film, è al centro del lavoro di Ginevra Nervi, giovanissima autrice di colonne sonore e producer di musica elettronica che ha affermato la sua ricerca personale all’interno del panorama delle musiche per film.
La sperimentazione della compositrice genovese, incontra gli studi sul suono come materiale da plasmare in un linguaggio che spazia dall’armonizzazione alla destrutturazione, dove i rumori dei paesaggi e delle città sono elevati a elementi sonori creando un flusso continuo tra il mondo narrativo e le immagini come nel recente Until the music is over di Cristiane Oliveira, oppure in Come pecore in mezzo ai lupi di Lydia Patitucci o Dante fuga dagli inferi di Sebastiano Facco, dove la voce di Nervi è uno strumento puro che l’autrice taglia, distorce manipola fino a raggiungere forme estreme come nel complesso album personale The Disorder Of Appearances.
La tua carriera è poliedrica: cantante, producer e compositrice di colonne sonore. Come ti sei avvicinata alla musica per immagini?
Mi sono avvicinata abbastanza presto e inconsapevolmente. Nasco come musicista autodidatta approcciandomi a strumenti acustici e ai gruppi punk e band rock nella mia città.
Lentamente mi sono avvicinata a quella dimensione della produzione domestica perché avevo l’esigenza di produrre i miei brani da zero a cento e questo mi ha portato ad approfondire gli studi di musica elettronica.
Parallelamente ho iniziato a collaborare con Pivio Pischiutta e Aldo De Scalzi che hanno prodotto nel 2012 il mio primo album e molti di quei brani sono finiti in serie come L’ispettore Coliandro o nel film Startup di Alessandro D’Alatri. Poi nel 2015 mi sono iscritta al Conservatorio nel triennio di Musica elettronica, dove ho scoperto un sotto mondo soprattutto nella storia della musica elettroacustica che ha ribaltato completamente il mondo in cui concepivo la scrittura. Da una forma più tradizionale com’è la canzone mi sono aperta verso nuovi orizzonti immergendomi in un mondo accademico per certi versi chiuso con cui mi sono scontrata felicemente e che mi ha dato molti stimoli per conoscere tutte le regole e poi infrangerle. Studiando in conservatorio mi sono accorta di quanto la musica che stavo scrivendo e volevo scrivere poteva accostarsi anche al mondo delle immagini.
Come ti approcci alla composizione di una colonna sonora, qual è la tua ricerca personale?
Per me è molto importante immergermi nel timbro e cercare il suono che possa creare uno spazio acustico. L’approccio alla scrittura varia da progetto a progetto, ma preferisco iniziare a lavorare a monte con il regista e ricevere delle suggestioni dallo spoglio della sceneggiatura su cui provo a immaginare un mondo sonoro che potrebbe accompagnare quella storia. Cerco di avere dal regista un primo montaggio, del materiale visivo anche grezzo perché per me è molto importante ricevere delle suggestioni dalla palette cromatica del film. Quello che mi stimola è la fotografia utilizzata in un film, capire che direzione avrà è molto importante nella scelta dei timbri perché i tipi di ambientazioni e le texture, il mondo in cui si sposta la macchina da presa, ogni sfumatura è un punto di aggancio e mi permette di capire che direzione prendere se arricchire una scena o lavorare in sottrazione. Quello che mi interessa è creare un fluxus continuo e soprattutto un linguaggio che sia il più immersivo possibile, non semplicemente applicato all’immagine.
Nei tuoi lavori possiamo contare anche dei contributi per le serie TV. Considerando che il sistema di scrittura tra cinema e serie tv sono diverse, come lavori sulla serialità?
Da un punto di vista del materiale che dovrò musicare per una serie la mole di lavoro è maggiore rispetto a un film. Nelle serie l’utilizzo dei temi che ritornano è fondamentale, perché la musica è un gancio che serve da punto di vista funzionale. Ci sono anche diversi linguaggi che iniziano a far parte del mondo della serialità, per esempio la sincronizzazione tra colonna sonora e musica di repertorio, dove il compositore deve saper dialogare come il music supervisor una figura che in italiana è ancora un po’ fumosa, mentre all’estero è entrata nella produzione in modo chiaro. Per me è importante poter dialogare con queste figure perché dalla sincronizzazione possono nascere degli ottimi spunti per entrambi, ma soprattutto per trovare un linguaggio comune come nel bellissimo lavoro che abbiamo fatto sulla serie Shake di Giulia Gandini con cui abbiamo analizzato le proposte che arrivavo dal music supervisor di Sony rispetto alla colonna sonora che avevo già scritto, trovando una grande sintonia tra musiche di repertorio e colonna sonora.
Ultimamente hai firmato la colonna sonora del film «Until the music is over» di Cristiane Oliveira presentato a ottobre in concorso al Festival Internazionale di Rio de Janeiro, in cui il suono della lingua, il «talian», è l’elemento principale. Come hai lavorato a questo progetto?
Con Cristiane abbiamo inizialmente lavorato tramite zoom sulla sceneggiatura, il mood board e sulla storia della lingua e dalla comunità talian; una comunità del lombardo veneto che tra gli anni ’50 e ’60 si è trasferita in massa in Brasile. Questa comunità è come congelata in una dimensione incredibilmente vicina ai borghi rurali nel lombardo veneto: le strade e le case sono costruite nello stesso modo e anche visivamente sembra di essere in un paesaggio italiano. Cristiane mi ha chiesto di non fare una colonna sonora classica, ci sono solo cinque appuntamenti musicali lunghissimi che ci portano in una dimensione altra. Il lavoro che abbiamo voluto fare è un mix di sound designer e ripresa ambientale, lavorare sui rumori e gli oggetti in scena per unirli a suoni di strumenti fisici come percussioni o metalli pizzicati. È stato un lavoro diverso che in qualche modo mi ha riportato alle origini delle miei ricerche sul suono perché è un lavoro totalmente destrutturato, non armonico e frastagliato.
Nei tuoi lavori personali emerge con forza la voce, qual è la ricerca che fai su questo elemento?
Cerco di approcciarmi alla voce in una maniera molto primitiva, forse perché è il primo strumento che ho utilizzato per fare musica e soprattutto per me è il timbro che rappresenta l’essere umano e il suo canale di espressione; ed è interessante utilizzarla in modo percussivo o melismatico.
Mi affascina vedere come la voce è utilizzata nelle diverse aree geografiche e culture in quanto la voce assume un ruolo e una funzione completamente diversa ed è strettamente connessa a come quella società vive la sua identità e il modo di esprimersi. Quindi cerco di abbattere tutti i confini possibili sulla voce che considero innanzitutto come uno strumento pari agli altri che posso utilizzare in svariati modi partendo per esempio da me come strumento e auto manipolandomi fisicamente per emettere il suono in maniera diversa, come ho fatto per il documentario di Sebastiano Facco Dante fuga dagli inferi, colonna sonora quasi esclusivamente vocale molto vicina al mio album The Disorder Of Appearances in cui, oltre a manipolare la voce attraverso il mio corpo, ho modificato il suono in maniera digitale quindi multi effetti, tagliando e ribaltando la voce, trasformando il pitch e la formante, una mostrificazione della voce sotto tutti i punto di vista.
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