Medica, divulgatrice scientifica e scrittrice, di Gina Lombroso (1872-1944) abbiamo documenti e libri a sua firma che ne mostrano il rilievo intellettuale e autonomo. Eppure è Una donna nell’ombra, come si intitola il romanzo storico che Silvia Di Natale le ha dedicato (Edizioni Clichy, pp. 360, euro 19.50). Ne discuterà oggi al Festivaletteratura di Mantova (Aula Magna dell’università, ore 21.30) insieme a Francesca Capossele e Marianna Albini.

«Come spesso avviene, anche questo è stato un incontro fortuito. Con la mia amica Valeria Babini, (ex) docente alla cattedra di Storia della scienza all’università di Bologna, stavamo parlando di Cesare Lombroso, non so più a che proposito. È stata lei a nominare la figlia Gina e a dirmi che le sue memorie erano conservate presso l’Archivio Vieusseux di Firenze, ma non erano mai state pubblicate, anzi, erano tenute sotto chiave ed era assolutamente proibito renderle pubbliche». Questo è l’antefatto che incuriosisce Silvia Di Natale, scrittrice di origine genovese ma da tempo residente in Germania, a Monaco, dove ha studiato scienze sociali e ha insegnato scrittura. «Il manoscritto originale mi ha fornito la traccia per il romanzo – prosegue l’autrice –. In quelle pagine c’è però molto di più che un diario intimo: Gina, a larghi tratti, senza molta sistematicità, però procedendo cronologicamente, traccia insieme alla sua storia, quella della sua famiglia, una famiglia ebrea borghese colta e liberale, e dell’Italia tra i due secoli».

In che modo ha lavorato a «Una donna nell’ombra», sistemandolo come un’autobiografia per date? Quali documenti ha consultato oltre al manoscritto originale depositato a Firenze e cosa ha scoperto?

Le memorie si assottigliano man mano che ci si avvicina all’esilio: nel 1930, anno in cui Gina e il marito lasciano l’Italia per la Svizzera – trascorreranno a Ginevra gli ultimi anni della loro vita – gli appunti di Gina si interrompono bruscamente, come se l’autrice non ritenesse degno di nota quanto avvenne dopo. Il mio romanzo di Gina invece continua fino all’anno prima della sua morte, avvenuta nel 1944. Ho pensato dunque di integrare quelle pagine con documenti storici che si riferissero all’epoca di volta in volta trattata: Torino alla fine del XIX secolo, le lotte operaie, il crac finanziario; nel nuovo secolo l’entrata in guerra dell’Italia, eccetera. Sono fatti storici ben documentati.
Dove non arriva internet – è incredibile quanto materiale storico contenga, a saper cercare bene – ci sono le biblioteche. Libri di Lombroso e su di lui, l’opera di Guglielmo Ferrero, le opere pubblicate da Gina, quelle scritte dalla sorella Paola, persino quelle del figlio Leo pubblicate postume. Ho avuto la fortuna di poter disporre dell’immenso magazzino della Biblioteca statale bavarese.

La ricostruzione che lei fa è un affresco storico, oltre che politico, in cui la vita di questa donna emerge in tutta la sua espansione. Sia per inclinazione intellettuale che di trasformazione, approfittando di ogni circostanza utile per apprendere: dalle visite di Turati e Kuliscioff ai viaggi in America Latina e ancora alle sue personali pubblicazioni.

È una ricercatrice sociale ante litteram, pensiamo alla ricerca sul campo che conduce con tanto di questionari e metodi statistici in un quartiere operaio. È anche una donna pragmatica: insieme alle altre signore del Lyceum di Firenze mette su un’associazione per divulgare il sapere tra le altre donne.
Nonostante ammirasse incondizionatamente Anna Kuliscioff, non approva del tutto le sue idee: le convinzioni di una persona, riflette, sono condizionate dal suo carattere. Lei è tra coloro che mai potrebbe appoggiare un movimento che si prefigga la lotta tra le classi. Le sue doti verranno alla luce a Ginevra, quando sarà Gina a organizzare la rete di soccorso ai profughi arrivati dall’Italia, che verranno accolti senza distinzione di idee politiche e tanto meno di appartenenza religiosa.

Gina Lombroso sposa Guglielmo Ferrero, assistente di suo padre e coautore di «La donna delinquente, la prostituta e la donna normale» (1893). Se dell’«Uomo delinquente» si è detto e scritto tantissimo, di questa fobia e misoginia sistemica camuffata da antropologia criminale si è parlato meno. Gina ha avuto un ruolo in quella pubblicazione. Era una donna del suo tempo ma come le è risultato il suo percorso di consapevolezza riguardo i temi che attengono le sue simili?

Gina amava troppo il padre per contraddire le sue idee. Quando, studentessa, si accorge che le proprie teorie riguardo ai santi non soltanto non coincidono con quelle del papà, ma le confutano apertamente, smette di scrivere il saggio. Nelle memorie non c’è traccia di critica anche verso le posizioni più contraddittorie del padre, anzi. Però è probabile che Gina considerasse il suo abbozzo di autobiografia come qualcosa di personale e avesse escluso di proposito ogni osservazione che si riferisse alle teorie del padre, di cui aveva del resto già scritto, insieme alla sorella e poi da sola.

Paola e Gina erano però amiche di Kuliscioff, le cui posizioni erano agli antipodi di quelle di Lombroso. Possibile che le due ragazze non si fossero rese conto dell’assurdità delle idee che le riguardavano in quanto donne? Mentre Paola aderisce alle nuove idee e si batte per il suffragio femminile, Gina è restia in nome della felicità che le donne ci ricaverebbero. Sarebbero più felici se potessero votare ed essere elette? Se coprissero i ruoli che hanno sempre coperto gli uomini? No, secondo lei uomini e donne non sono uguali e perseguono un’idea diversa di felicità.
Importante era uscire dal torpore in cui fino ad allora si era rifugiato il sesso femminile ed essere in grado di perseguire i propri fini e far valere i propri desideri. Gina ha un’«illuminazione» mentre torna in treno in Italia, siamo alla vigilia della prima guerra mondiale: finalmente capisce che da sempre non ha fatto altro che attribuirsi un ruolo che nessuno ufficialmente le aveva mai dato. Ci vorranno anni, però, perché riesca a liberarsi del tutto dalla vecchia Gina.

Nella sua narrazione, emerge infatti anche il ruolo di Paola, sorella di Gina che aderisce al socialismo, giornalista e ideatrice del «Corriere dei piccoli». Che tipo di relazione avevano?

Finché sono giovani, le due sorelle sono complementari: Paola è tutto ciò che non è la sorella. Gina frena Paola, corregge i suoi scritti (un ruolo che esercita con tutti, anche con il marito, fino alla sua morte), cerca di mitigarne i lati più esacerbati, ha spesso il ruolo dell’ancella verso la sorella. Sarà Paola a perorare la causa di Gina perché venga iscritta all’università, lei a spingerla perché i genitori acconsentano a che si iscriva a medicina, pur avendo appena finito lo studio delle lettere.

Il loro rapporto si incrina quando Gina scopre che la sorella ama Guglielmo che nel frattempo le si è dichiarato, e più tardi quando rinuncia a un amore per lasciarlo alla sorella: Paola non lo verrà mai a sapere. Gina capisce soltanto più tardi che rinunciando alla propria felicità ha rinunciato anche alla sorella. I loro rapporti restano però stretti, nonostante la distanza. Sarà Paola ad assistere Gina malata a Ginevra.

Quest’anno a Mantova sono presenti diversi omaggi ad alcune autrici e scrittrici, da Alba FanriziDe Cespedes a Fabrizia Ramondino e Dolores Prato. Sono ritratti diversi che tuttavia sollecitano un approfondimento storico e politico su biografie non sempre così note. Come valuta questa apertura sempre rinnovata per le vite delle donne?
Le biografie, anche quelle storiche, sono un genere che in Italia è stato a lungo trascurato, a differenza della Germania, per esempio. Mancava il pubblico interessato. Negli ultimi anni invece assistiamo a una ripresa di questo genere, nella forma romanzata, soprattutto, che permette a un pubblico non specializzato di accedere a vite di personaggi non sempre noti, e perciò anche all’epoca in cui hanno vissuto. Nel caso delle donne, escludendo che si tratti di una, sia pur intelligente, manovra commerciale, ci si è quasi all’improvviso accorti dei tanti personaggi interessanti e ahimè trascurati.