Che Gilberto Sacerdoti (Padova 1952), il nostro maggior scespiriano, sia anche – per me forse soprattutto – poeta in proprio, l’ho scoperto, una trentina d’anni fa, nell’originale antologia di Plinio Perilli: Storia dell’arte italiana in poesia (Sansoni 1990). È lì che sono inciampato per la prima volta in quel meraviglioso endecasillabo – «Non si era ancora visto tanto Maggio» – che da allora ad ogni nuovo maggio mi ritorna in mente; e ne cerco conferma nell’aria e nella luce. È l’ultimo verso della poesia Bellini – la prima di un dittico. È assai breve, la trascrivo tutta: «Giovanni Bellini, / n. a Venezia e a Venezia m. / tra n. ed m. ottanta ed otto anni / nel MDX, anno / 82 della sua vita pinxit / una Madonna col bambino in mano / un raso verde, un cielo ed un paesaggio. / Forse gli tremava un po’ la mano; / non si era ancora visto tanto Maggio».

L’avessi messa insieme io, invece dell’ottima Bianca Tarozzi, questa snella scelta (con quattro inediti) delle poesie di Sacerdoti, Peltro e argento (Molesini Editore Venezia, pp. 115, euro 15,00), di sicuro il primo Bellini sarebbe incluso. Anche se forse il secondo comparto, su cui la preferenza della Tarozzi è caduta – un componimento appena più lungo, due strofe – è, effettivamente, ancora più riuscito. Eccone gli ultimi versi: «Azzurra la tua veste, fuori, e bruna / dentro, Madonna col Bambino: / bruna perché terra e perché cielo / azzurra; così il figlio è divino / e tu tra terra e fiore sei lo stelo». Forse, in realtà, le due poesie van prese assieme: così umano il tremore della mano del vecchio pittore, la vergine-stelo una sfumatura metafisica.

Sacerdoti eccelle nella ecfrasi: un’altra sua poesia è intitolata Guercino e un particolare di Et in Arcadia Ego – lo stupore dei due pastori (che poi nei versi, quasi tutti dedicati al teschio, non sono neanche menzionati) – è in copertina alla sua seconda raccolta, Il fuoco, la paglia (Guanda 1988). Ut pictura poësis… Ma la musa di Sacerdoti non va solo per chiese o pinacoteche: al contrario, è semmai il dipinto – quando da lì si parte – che presto viene portato fuori dalla sua sala, staccato dal muro, en plein air.

In una nota apposta alla terza edizione dell’Ortis, Ugo Foscolo (semi-veneziano come Sacerdoti) osservava come, dilettandosi «di registrare nelle sue lettere tutti gli accidenti meteorologici» il suo Jacopo si mostrasse «in sé stesso un vivente barometro dell’atmosfera che lo circondava». Lo stesso diciamo pure di Sacerdoti, da molte poesie di Fabbrica minima e minore (1978), il sorprendente esordio in anni in cui certa sorvegliata – ma genuinamente ariosa – ‘naturalezza’ era ancora vista con sospetto, fino alle sprezzature della ‘Bianca’ Einaudi, Vendo vento (2002): «Due rasoiate al cielo / e l’afa irrancidita, / squarciata, è furia, sferza, / acqua gelata, vita. // Muore, esausto, agosto, / sventrato dallo squarcio; / nasce settembre: è fresco, / madido, nuovo. Scroscio // mirabile, concedi / tanto spedito spasmo / siccome al macro al micro – / anch’esso esausto – cosmo” (Settembre).

È in questa raccolta – la sua ultima – che due dei numi tutelari di Sacerdoti sono quasi esplicitamente evocati, in due ‘poesie di lettura’ che si fanno a distanza da pendant: Penna – «Ho ricomprato il libro che leggevo, / lo leggo adesso e tutto sembra uguale; / (…) son dieci anni / che non sentivo, tiepido e modesto, / un fil di voce dipanarsi in gola / come lo sento dipanarsi adesso» – e Hopkins e Adriatico: «Lo scritto-scrigno scricchia, / sforzato. Erompe, esplode: / naufragio, sferza, spine, / incudini. In carole. // Traballante, tramortito / lo richiudo: azzurro, muto, / dune lisce, solo mite, / mare piatto, qui da me». Ma c’è, forse più a sorpresa, anche Walt Whitman: che «sente i grandi laghi freddi a nord, / le praterie, i due oceani, le foreste, / il vento del pianeta nello spazio, / e al vento chiede chi è che parla, cosa».

Il titolo della nostra antologia, invece, è tratto da una delle poesie che, nel frattempo, sono uscite col contagocce in rivista, Zattere (1): «Col sole di luglio e la bora / la pelle dell’acqua è una cotta / di scaglie e di schegge d’argento – / e se anche, schizzato il bagliore, / nel giro di un nanosecondo / l’argento si spegne nel peltro, / ah, il peltro dell’acqua si accende / di nuovo e rischizza l’argento. / Per quanto non sia pertinente / che all’acqua, il suo fulgido esempio, / per dieci minuti la testa / contesta il primato del peltro».

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La collana: Pessoa, Dautbegovic, Moses, Belli, Tarozzi… Da allineare come i pastelli
Il libro di Gilberto Sacerdoti è uno dei sette volumetti con cui, poco prima di Natale, Andrea Molesini – forse ormai più noto come romanziere (Non tutti i bastardi sono di Vienna, Sellerio 2010, ha vinto il Campiello e il Comisso) – ha inaugurato la sua attività di editore quasi esclusivamente di poesia. (E dico ‘quasi’ perché, oltre a L’iride nel fango, il saggio di Francesco Zambon su L’anguilla di Montale, vedo annunciato – forse ormai è uscito – Il solo fratello di Nico Naldini, luminoso ritratto di Goffredo Parise, che ricordo d’aver letto a suo tempo nell’edizione Archinto.) Gli altri titoli sono: Oscuro come il tempo del poeta e romanziere francese Emmanuel Moses; Messaggio, il solo libro di poesie in portoghese pubblicato in vita da Fernando Pessoa; Il tempo degli spaventapasseri della poetessa bosniaca Josefina Dautbegovic, curato anch’esso da Bianca Tarozzi; Devozioni domestiche proprio di Bianca Tarozzi (di cui uscirà anche un quaderno di traduzioni); Il pesce rosso che ci nuota nel petto di Gioconda Belli (sì, l’autrice della Donna abitata). Il motto (vitruviano) della casa editrice è Firmitas / Utilitas / Venustas e l’impressione, che più positiva non potrebbe essere, è che l’iniziativa nasca dal divertimento intelligente di un gruppo di amici: perché la poesia – quando non ci si muove guerra nella smania del Nobel – da che mondo è mondo è molto una faccenda di amicizia, e niente di male che i poeti si comprino o si regalino, si pubblichino e si leggano tra loro! Ognuno di questi libri meriterebbe e forse riceverà un discorso a sé. Qui mi limito a osservare la gradevolissima veste editoriale. Piccoli ma neanche troppo (13×19), s’appoggiano bene sul palmo della mano. In copertina, sotto il titolo (il nome dell’autore è in grassetto, tutto spostato a destra, parallelo al dorso), viene citata una poesia. Ma attenzione, niente a che vedere con la ‘Bianca’ Einaudi: ogni volumetto è di un colore diverso, rosa, giallo, verde chiaro, azzurro, Sacerdoti è arancione. Sullo scaffale vanno tenuti assieme, assolutamente: così variegati, danno allegria. Di primo acchito, un po’ preoccupato mi sono chiesto: qua ne potranno uscire, prima di esaurire la gamma dei colori? Poi ho pensato ai campionari dei colorifici e dei negozi di tessuti e mi sono molto rassicurato. (f.r.)