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Giardini militanti fra il mimetico e il concettuale

Giardini militanti fra il mimetico e il concettualeLondra, Chelsea Flower Show 2022: "Medite smartply. Building the Future", disegno di Sarah Eberle

A Londra la cinque giorni del Chelsea Flower Show Nell’edizione di quest’anno, il giardino si pone come critica antropologica e fuoco di rigenerazione ambientale e sociale: Sara Eberle e il recupero dei suoli degradati, Jennifer Hirsch contro il buco dell’ozono, Andy Sturgeon a favore dei senzatetto...

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 5 giugno 2022

E’ tutto un fiorire di approcci e tematiche nuove quello che pervade, specialmente nelle intenzioni, i trentanove giardini attorno a cui per cinque giorni si sono davvero affollati gli oltre 140.000 visitatori del Chelsea Flower Show. Una tra le maggiori mostre dedicate al mondo delle piante e del giardino, che dal 1913 si tiene ogni anno alla fine di maggio in pieno centro di Londra, a segnare l’avvio della stagione mondana e quella del giardino (spesso un tutt’uno), nonché delle sue tendenze. Quindi, una certa discontinuità, nell’edizione appena conclusa, rispetto al tradizionale assetto formale, tutto progettato e modulato sulla vivace ma posata tradizione orticola anglosassone.
Quest’anno i giardini si propongono invece perlopiù come veicolo di messaggi vitali, di bellezza ma specialmente interesse per il ruolo delle piante nel contrasto al cambiamento climatico, rivelandosi occasione di rinaturalizzazione di paesaggi, accordandosi alla natura per costruire – come mediatori – mondi futuri o anche soltanto ripristinare suoli degradati come pure intere aree industriali dismesse.
Così, ispirato alla vegetazione del limitare della foresta, il giardino di Sarah Eberle combina il meticciato di flore native ed esotiche in delicato contrasto con piante per ambienti umidi, mentre Rewilding Britain landscape evidenzia e ricostruisce la ricchezza anche compositiva di un habitat per come muta dopo la reintroduzione di una specie chiave autoctona, come il castoro.
Passando dall’ispirazione mimetica a un approccio concettuale, l’etnobotanica Jennifer Hirsch definisce attraverso il ritmo di una serie di archi di acciaio la progressione di piante pioniere che rianimano un suolo bruciato da un incendio. E oltre questo giardino-scultura, The plantman’s ice garden è un’istallazione che vede nelle giornate della mostra disciogliersi un monolite di ghiaccio di 15 tonnellate a significare l’urgenza del rischio del riscaldamento climatico e al tempo stesso la ricchezza botanica degli excerpta vegetali che in prospettiva quel ghiaccio conserva. Per l’intanto, il Brewin Dolphin garden propone invece come accompagnare le metamorfosi di aree industriali dismesse, dove betulle, persicarie, carex e viburni contribuiscono a ripulire suoli contaminati.
Ma, oltre l’immediato benessere dell’esperienza dell’immersione nel verde, anche, e trasversalmente, molti dei giardini sono pensati per attivarsi come elemento rigeneratore di equilibri interiori, a supporto, volta a volta, di ragazzi con disagi, malati oncologici, senzatetto, detenuti – certo, nella logica compensatoria della tradizione anglosassone delle organizzazioni caritatevoli, alle cui attività spesso i singoli giardini sono ispirati e cui finiranno per essere assegnati conclusa la mostra.
Giardini dunque come elemento di connessione con noi stessi e sempre più declinati nella dimensione comunitaria, a cavallo tra inclusione e rivendicazioni sociali.
Così, tra muretti tondi disposti come petali che separano e uniscono, tra panche e piante discrete che invitano alla condivisione, The mind garden di Andy Sturgeon è uno spazio per relazionarsi. Mentre Putting down roots (Mettendo radici) è un progetto pensato per uno spazio pubblico urbano a supporto dei senzatetto e con il loro coinvolgimento. E ancora destinato a esser trasferito nella comunità di Notting Hill è il giardino Hands off mangrove (Giù le mani dalla mangrovia), firmato dall’attivista Tayshan Hayden-Smith e da Danny Clarke, simbolo di coesistenza ecologica e sociale che associa tetrapanax, cardi, barbabietole e insalate con una scultura alta quattro metri di nude radici di acciaio, richiamando la distruzione di fondamentali ecosistemi e attualizzando il tema degli impatti combinati di ingiustizie razziali e ambientali.
Certo non mancano approcci più consueti, consoni all’aplomb dell’organizzatrice Royal Horticultural Society. A partire dallo stile quintessenziale del cottage garden ispirato all’artista imprenditore Arts and Crafts e amante di giardini William Morris, reinterpretato con elementi metallici ritagliati sulla base dei modelli delle sue floreali carte da parati e una scelta di piante sui toni pastello, tra biancospini, iris e rose rampicanti. Fino alla reinterpretazione in chiave comunitaria del tema classico del front-garden, il tipico giardino unifamiliare. E ancora, con un doppio salto metaforico, nel giardino sponsorizzato dal metaverso di Mark Zuckerberg e suggerito dalle relazioni tra funghi e radici, Joe Perkins evidenzia le connessioni – cui ispirarsi – che permeano ogni ecosistema. Un prato di fiori selvatici nelle tonalità del rosa, del blu delle centaure e del bianco, con sullo sfondo il web.
Al centro della manifestazione, a orientare sempre gli spettatori, l’enorme padiglione coperto che ospita il distillato della ricerca orticola di specialisti monomaniaci, coltivatori di hosta, digitali, felci e graminacee, collezioni di elegantissime alstroemerie, bulbi di camassie e ornitogalli, profusione di lupini e una serie di bellissimi equiseti dal nome incantato, Elegia.
Insomma, nel gioco di contraddizioni tra un sistema di sponsor caritatevoli e l’inevitabile selezione di pubblico pagante un biglietto d’ingresso giornaliero tra le 70 e 90 sterline, nonché il riverbero di una copertura mediatica assicurata da ben tre collegamenti giornalieri della BBC, questi «giardini per buone cause» condividono pressoché tutti, oltreché una diffusa sensibilità ecologica e aspirazioni etiche e sociali, un aspetto scapigliato che dal punto di vista estetico paga pegno alle mode del giardino naturale ispirato alle fioriture dei prati e risulta più attento alle esigenze associative delle piante che non a quelle compositive del nostro occhio.
Senza prendersi troppo sul serio. E ricordandosi che, soprattutto, si tratta di uno show, dove anche l’affollato, caotico, intrecciarsi delle piante è pianificato fin nei dettagli. Uno show dedicato ai giardini, ma ancor più a celebrare il multiforme potere dei loro protagonisti primi, le piante. E, con la tirannia della stagione, particolarmente di quelle cui tocca in sorte d’essere in fiore proprio in queste settimane.

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