Giardini di biodiversità contro la violenza umana sul pianeta
Intervista Conversazione con i Dom-, collettivo di ricercatori e performer al lavoro sul progetto «Wild Facts», un programma di formazione al Teatro India di Roma che continuerà «a distanza» anche durante la chiusura
Intervista Conversazione con i Dom-, collettivo di ricercatori e performer al lavoro sul progetto «Wild Facts», un programma di formazione al Teatro India di Roma che continuerà «a distanza» anche durante la chiusura
Antropocene è una parola sempre più presente, tanto nei dibattiti filosofici quanto negli articoli scientifici. Si tratta della denominazione che è stata data alla nostra epoca, coniata per sottolineare il ruolo determinante degli esseri umani nelle trasformazioni distruttive dell’ecosistema. Questo stato di cose, che reclama un ripensamento dei rapporti tra umanità e ambiente, è fonte di stimolo per un vasto campo di ricerca e favorisce l’incontro tra numerose discipline, tra cui non mancano quelle artistiche. In questa cornice si muovono i Dom-, gruppo di base a Roma fondato dai performer e ricercatori Leonardo Delogu e Valerio Sirna, a cui oggi si è aggiunta Arianna Lodeserto.
Nel corso degli anni il collettivo ha dato vita a pratiche non convenzionali di esplorazione della città con camminate, accampamenti e performance itineranti, una nuova esperienza dell’ambiente ma anche l’intrecciarsi di saperi e rapporti sono al centro della ricerca, perché «ibridarci con altre persone significa mettere in crisi l’idea dell’artista geniale che può fare tutto da solo, siamo interdipendenti e lo rivendichiamo», ci ha raccontato Sirna. I Dom- sono oggi tra le compagnie di Oceano Indiano, progetto triennale di residenza e produzione del Teatro India di Roma, nell’ambito del quale hanno proposto Wild Facts/Fatti Feroci. Si tratta di un programma di formazione che ruota intorno al giardino del teatro e che sperano di portare avanti, rinunciando agli incontri pubblici, anche nei prossimi mesi.
Le vostre pratiche si svolgono spesso in città, ricercate un rapporto più sano con l’ambiente urbano?
Delogu: È più la tossicità del mondo e del tempo che viviamo ad essere al centro della nostra indagine. La natura non esiste e forse non è mai esistita, è un costrutto culturale che incontra la storia dell’umano. Il nostro lavoro lo vuole mettere in luce, considerando però che dentro la città vivono costantemente forme variegate e il vegetale è una di queste. Non consideriamo gli spazi abbandonati come luoghi da rifunzionalizzare ma come giardini di biodiversità, dove esistono esseri viventi normalmente espulsi dalla città. Negli anni ci siamo domandati quanto la presenza umana sia invadente e proprio nell’epoca dell’Antropocene, in cui stiamo mettendo in evidenza la violenza dell’egemonia umana sul pianeta, quei luoghi ci raccontano di altre possibilità e ci spingono a tentare una coabitazione, questione che implica un retrocedere dell’umano.
Che apporto possono dare l’arte e la performance al vostro discorso?
Sirna: L’arte è stata definita inessenziale e si tira indietro in un momento come questo. Per noi è arrivato come uno schiaffo, perché la consideriamo il campo aperto in cui affrontare la complessità che attraversiamo; le pratiche artistiche possono contaminarsi con tante discipline, addirittura con la scienza come stiamo provando a fare con Wild Facts. Per noi ha un ruolo essenziale, impossibile da addormentare anche per brevi periodi.
Delogu: L’arte è uno strumento che riesce a sollevare domande inaspettate e a ricamare una visione possibile di qualcosa che ancora non vediamo. Non dà soluzioni, ma può prefigurare qualcosa.
Le pratiche atipiche, come gli accampamenti in diversi luoghi della città, hanno trovato una barriera nelle normative vigenti?
Delogu: Esistono delle regole ma esiste anche una trasgressione fatta con consapevolezza. Se in una camminata è previsto l’oltrepassamento di una rete, e ciò significa violare una proprietà privata, dal nostro punto di vista vince il discorso per cui tutto lo spazio è attraversabile e il concetto di proprietà privata può essere messo in discussione, naturalmente per fare alcune cose e non altre. Anche campeggiare nello spazio pubblico è vietato per legge ma decidere che tutti questi spazi non si possono utilizzare per le funzioni primarie significa estromettere una grande porzione di mondo. Questa norma l’abbiamo aggirata immaginando l’accampamento come un’istallazione artistica e ciò ci ha permesso di farlo. Tutto questo è molto problematico, non possiamo non vedere che alcuni processi sono possibili perché a farne richiesta è un artista bianco, se lo facessero altre persone che non si trovano nelle nostre condizioni sarebbe molto più complesso. Tuttavia muoversi tra le maglie della legge, capire come fare delle proposte che poi possono essere replicate è sicuramente una parte molto importante del nostro lavoro. Si alza così un interrogativo sul fatto che queste pratiche oggi si svolgano all’interno di una grande istituzione come il Teatro di Roma, ma è in questo modo che proviamo ad abitare la complessità. Sembra che non c’entri nulla con la dimensione estetica ma non è così, alcune modalità producono una certa estetica piuttosto che un’altra.
«Wild Facts» ha subito varie battute d’arresto a causa della pandemia, a ottobre erano iniziati gli incontri pubblici, ora interrotti. In quale forma sta proseguendo?
Lodeserto: Continuerà ad andare avanti in forma di laboratorio per professioniste e professionisti, finché sarà possibile. Ogni episodio indaga un tema di studio su cui si concentra una sezione di coreografia e danza e una sezione di incontri con teorici e pensatori. Finora c’è stato l’episodio Risposta muta dedicato al lavoro di Deligny, poi un episodio sul carcere e le forme architettoniche carcerarie, infine un appuntamento dedicato alla sessualità e al queer nelle forme ibride del vivente. Sta diventando anche un giardino di studi, le persone sembrano molto desiderose di studiare insieme, considerando che ora tutte le biblioteche sono chiuse è un gran privilegio poterlo fare.
Delogu: Nulla è agevole da fare in questo momento e con il nostro lavoro vogliamo tutelare la fragilità dei corpi, non esporli in maniera indiscriminata. Allo stesso tempo desideriamo mantenere una possibilità di esistenza e vogliamo che il Teatro India continui ad essere abitato. L’arte performativa ha la specificità dell’incontro dei corpi, che non è eliminabile o surrogabile. Con i laboratori questo incontro continua, è un modo per non far sommergere tutto e per portare avanti un discorso pubblico.
Sirna: Un aspetto importante è la compresenza del lavoro sul corpo e del lavoro teorico, l’idea è quella di un corpo pensante, che pensa mentre si muove e si muove pensando. Portare avanti questo doppio binario di un’indagine con ricercatori e ricercatrici da un lato e coreografi e coreografe dall’altro è un punto centrale per fondere corpo movimento e pensiero.
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