Cultura

Gianni Rodari, l’infanzia e l’invenzione del mondo

Gianni RodariGianni Rodari – Wikicommons

INCONTRI Anticipazione dall’intervento che si terrà sabato 28 al Circolo dei Lettori, nell’ambito della ventesima edizione di «Torino Spiritualità»

Pubblicato un giorno faEdizione del 26 settembre 2024

Nel libro degli errori di Gianni Rodari c’è un racconto che si intitola «Il grande inventore». Parla di un giovane che sognava di diventare un grande inventore. Ma ci mette tantissimi anni, sbagliando continuamente: prima inventa i buchi del formaggio. Poi i buchi nell’ombrello, quindi una nave che viaggia a pastelli, ma costa troppo e colora. «Studiò, studiò e studiò tanto che diventò uno scienziato, con tutte le consonanti e le vocali a posto, e allora poté inventare tutto quello che volle. Inventò una macchina per andare sulla Luna, un treno che consumava appena un granello di riso ogni mille chilometri, le scarpe che non invecchiano mai, e tante altre cose. Però il sistema di diventare scienziati senza fare errori non riuscì a inventarlo nemmeno lui, e forse non lo inventerà mai nessuno».

ECCO, in questa piccola storia possiamo trovare l’origine dell’attenzione giocosa e profonda che Gianni Rodari ha rivolto al tema degli errori in tutta la sua vita. Un’origine che risale alla sua passione per la scienza, anzi, per essere più precisi, per uno scrittore che della scienza ha fatto la materia prima su cui costruire mondi fantastici.

Questo scrittore è Jules Verne. Rodari ha raccontato in diverse occasioni, ultima una bellissima intervista che gli ha fatto Nico Orengo in televisione nel 1979, che quando era bambino si sedeva fra i sacchi di farina che il padre fornaio accantonava in cortile e leggeva, prima il libro Cuore, poi, di Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari e Il viaggio al centro della terra.

In questo romanzo Rodari bambino trova espressa per la prima volta quella che sarebbe diventata la materia prima della sua teoria degli errori. «Science, my lad, has been built upon many errors; but they are errors which it was good to fall into, for they led to the truth». I due protagonisti del libro si stanno preparando ad attraversare il mare al centro della terra, la loro conversazione è una vera e propria lezione di metodo scientifico, vengono nominate delle teorie, messe in relazione con i fatti empirici, riviste, e su questa revisione si fondano delle ipotesi. A questo punto lo zio dice al nipote la frase che è rimasta così impressa nella mente di Gianni Rodari. La scienza si fonda sugli errori. Cioè sulla reiterazione di tentativi. Sbagliando non solo si impara ma si inventa.

«Science, my lad, has been built upon many errors; but they are errors which it was good to fall into, for they led to the truth»

DIVENTANDO ADULTO, iniziando a scrivere per l’infanzia, nel secondo dopoguerra Gianni Rodari si trova a riflettere su quanto, invece, nel mondo dell’educazione dei bambini e delle bambine l’errore sia sempre stigmatizzato se non gravemente sanzionato. Soprattutto a scuola.

Si chiede Rodari: perché il metodo scientifico non può essere applicato ad ogni forma di conoscenza, anche quella linguistica, anche quella grammaticale? In fondo i bambini imparano a parlare così, attraverso una serie di errori che finché sono piccoli gli adulti giudicano divertenti ma poi, quando entrano a scuola, fanno il possibile per stanare e correggere. Va bene correggere, dice Rodari, ma quanto è efficace il brutto voto, l’umiliazione, piuttosto che il gioco sull’errore?

L’INCONTRO con alcuni maestri che dentro la scuola questo problema se lo pongono quotidianamente è per Rodari una vera e propria rivoluzione copernicana: quando incontra Bruno Ciari o Mario Lodi capisce che il metodo scientifico, lo sbaglio come fondamento della scoperta e stimolo della ricerca, è centrale anche nell’insegnamento della lingua e della grammatica e di qualsiasi disciplina.

Questa è una suggestione che viene a Rodari come a Ciari anche da Antonio Gramsci. Per dirla con Tullio De Mauro si afferma, non solo nell’accademia ma anche in molte aule scolastiche, l’idea che l’italiano «si insegna a partire da quel che vive nel mondo circostante, nei dialetti, nei gerghi, nella lingua di casa». Così nasce fra il 1962 e il 1964, Il libro degli errori. Scrive a Giulio Bollati, redattore della casa editrice Einaudi: «Ti piacerebbe Il libro degli errori, errori di ortografia-grammatica-sintassi (che sono chiaramente errori ideologici ed esistenziali)?».

Che cosa siano gli errori ideologici o esistenziali lo spiega in un’altra lettera: «l’obiettivo è, di volta in volta, svelare l’errore ideologico dietro quello ortografico (es. I-ta-glia! I-ta-glia!, dei giovinastri fascisti, con la g); o svelare una realtà sbagliata da correggere; o mostrare – anche – la produttività fantastica e vitale dell’errore (la necessità della disubbidienza alle regole, se si vuol cambiare il mondo)».

Un libro dunque, molto «impegnato», come dice lo stesso Rodari e «spregiudicato e divertente» al quale tornare oggi per correggere, insieme agli errori, il mondo.

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