Gianni Rodari, il comunista delle filastrocche
ITINERARI Dall’adesione al partito al metodo rivoluzionario del marxismo critico. Il suo punto di riferimento è Gramsci, perfettamente inscritto nella tradizione umanistica italiana. Essere nel Pci nell’Italia del 1945 non è come esserlo solo due anni dopo. I comunisti sono chiamati, insieme a tutte le forze laiche e cattoliche, a scrivere la Costituzione
ITINERARI Dall’adesione al partito al metodo rivoluzionario del marxismo critico. Il suo punto di riferimento è Gramsci, perfettamente inscritto nella tradizione umanistica italiana. Essere nel Pci nell’Italia del 1945 non è come esserlo solo due anni dopo. I comunisti sono chiamati, insieme a tutte le forze laiche e cattoliche, a scrivere la Costituzione
Chiamato nel 1950, dal Pci, a scrivere un’autobiografia per tracciare il suo percorso politico durante il ventennio, Gianni Rodari racconta il momento della scelta, durante la guerra di Etiopia. «In quell’epoca i miei filosofi erano Nietzsche, Stirner e Schopenhauer e trovavo ridicolo l’Impero». Amici operai sono il tramite a letture proibite: «In casa di uno di questi conobbi uno che ‘era stato un comunista’ nel 1921, il compagno Furega Francesco, muratore, della sezione di Gavirate, che mi raccontò a suo modo la nascita del fascismo».
Grazie a questo gruppo clandestino Rodari legge «una ‘vita di Lenin’, una di Stalin, e l’autobiografia di Trockij e la storia della Rivoluzione dello stesso Trockij. Queste opere ebbero due risultati: quello di portarmi a criticare coscientemente il corporativismo e quello di farmi incuriosire sul marxismo come concezione del mondo».
FINITA LA GUERRA, Gianni Rodari diventa un militante del Pci. Il suo punto di riferimento (suo e di tanti) è ovviamente Antonio Gramsci, perfettamente inscritto nella tradizione umanistica italiana, è la miglior difesa contro l’accusa che viene mossa al Pci di essere una mera espressione dello stalinismo in salsa mediterranea. Questo diventa chiaro con i Quaderni dal carcere (1947) che Palmiro Togliatti sceglie di far pubblicare dall’editore Einaudi e non da un editore comunista: Gramsci è esso stesso parte della cultura nazional popolare, è di tutti, e tutti con Gramsci devono fare i conti.
Nel 1948 Gianni Rodari scrive: «in Gramsci vive un tipo nuovo di «uomo di cultura. (…) La sua lotta contro Croce è un continuo smascheramento di posizioni teoriche e teoretiche che si presentano come posizioni universali e disinteressate dello spirito, per rilevarne il significato ed il valore storico di strumenti della conservazione sociale».
Il marxismo è un metodo, è costante ricerca, è scoperta della realtà, svelamento della conservazione.
INSIEME A GRAMSCI, il marxismo di Rodari si nutre di Bertolt Brecht di cui traduce nel 1945 La linea politica. Il poeta tedesco rappresenterà un riferimento costante sul senso di essere scrittori e comunisti: «Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?». Nella Storia degli uomini pubblicata a puntate su Vie nuove nel 1958 così come nella Storia universale, Rodari risponde: «C’erano solo gli uomini con due braccia per lavorare». Lo scrittore comunista, dunque, non ha solo come suo ideale committente il movimento operaio ma si impegna ad ascoltarne la voce nella storia.
ESSERE NEL PCI nell’Italia del 1945 non è come esserlo solo due anni dopo. I comunisti infatti sono chiamati, insieme a tutte le forze laiche e cattoliche, a scrivere la Costituzione e fondare la Repubblica. Ma, dopo il 1947, con l’estromissione del Pci dal governo e l’inizio della guerra fredda, la divisione del mondo in blocchi si ripercuote concretamente nell’attività dei militanti italiani. Serve un giornalismo che racconti i motivi di questa frattura e delinei i caratteri dell’’uomo nuovo’ comunista: questo fa Rodari sull’Unità. E quando il Pci gli chiede di scrivere per i bambini, lui accetta. «La generazione che il Pci ha rastrellato durante la Resistenza è quella che meno si è preoccupata di vocazioni personali».
Anche la direzione de Il Pioniere nel 1950 è un incarico che Rodari accetta per disciplina: lo obbliga infatti a lasciare Milano e trasferirsi a Roma. Ed è proprio per il suo ruolo centrale nella costruzione di una stampa popolare per ragazzi che interviene nel 1951 nella nota polemica sui fumetti con Nilde Iotti e Palmiro Togliatti: una polemica spesso presentata come la prova del fatto che Rodari fosse un comunista «eretico». In realtà una normale discussione, tipica del tempo (tesi, antitesi, sintesi del segretario) in cui alla fine Rodari e Togliatti non sono poi così distanti.
IOTTI INFATTI STIGMATIZZA il fumetto americano, violento. Rodari contesta l’opinione che non possano darsi fumetti «diversi da quelli americani» e conclude auspicando «la nascita di una nuova letteratura per l’infanzia» che comprenda accanto ai libri i fumetti. Togliatti rilancia dicendo che auspica «di riuscire a creare una letteratura e una pubblicistica per bambini e ragazzi che attirino, piacciano, educhino». E questo proverà a fare Gianni Rodari, sui periodici comunisti degli anni Cinquanta.
Nel 1956 rimane nel Pci, nel 1958 però passa a Paese sera, lasciando l’Unità. Secondo alcuni critici la militanza comunista di Rodari si farebbe più blanda a partire dal 1960, in coincidenza con la pubblicazione dei suoi libri con Einaudi. Rodari è consapevole di questa diffidenza politica che per conto suo rigetta: sa di essere la «quinta colonna comunista nella grammatica italiana», come scrive parafrasando una stroncatura di Guareschi sul Borghese. Che la sua è la «via sbagliata al socialismo».
Il solco che si apre fra Rodari e la «politica culturale» del Pci è però compensato dal rapporto fecondo che lo scrittore ha con i suoi compagni che da Reggio Emilia al movimento dei genitori democratici rappresentano quella via italiana al socialismo che Rodari rivendicherà sempre, facendolo rimanere saldo dentro al partito (Perché ho dedicato il mio libro alla città di Reggio Emilia, 1974).
Le critiche mosse alla sua svolta linguistica sono il sintomo di quel marxismo critico che «non utopizza: ha già la cosa nella mano, e nella cosa stessa ha messo la sua morale e il suo idealismo», come ha scritto Antonio Labriola. Rodari, invece, a un certo punto, inizia a «utopizzare»: sarà l’incontro con la fiaba o con lo strutturalismo e la linguistica, o con i maestri dell’Mce, ma a Rodari l’utopia sembra importante come la vista o l’udito. Inevitabile, dunque, il mutare del suo sguardo sul comunismo sovietico che vede crollare come progetto proprio per l’incapacità politica di educare alla fantasia, indispensabile tassello dell’utopia.
SCRIVE NEL 1979: «faccio obiezioni alle uniformi uguali, rispondono ‘l’uniforme educa, serve alla disciplina’. Mai esprimere un parere personale. Tutti accettano le spiegazioni date. Non so come in una scuola del genere possa mai nascere un movimento, un’iniziativa dal basso. Del resto, è un problema di tutto il sistema di democrazia socialista»
Scrive su questo una poesia: «La signora B dovette scendere a Brest/ le mancava il timbro dell’albergo/ compagni compagni cos’è come accade/ non avete fatto una rivoluzione/ per aumentare i timbri/ ma per distruggerli/ io non vi farò la lezione/ non dirò al russo che ha pagato per me/ che nella sua rivoluzione mancava qualcosa/ anch’io sono comunista/ tale mi chiamo per dare un nome alla speranza».
Essere comunista è, dunque, un modo di dare un nome alla speranza. Rodari rigetta l’alternativa imposta ai poeti dal comunismo: essere poeti rivoluzionari o essere poeti della rivoluzione. La rivoluzione è un metodo. Guarda con diffidenza gli apocalittici suoi coetanei, con simpatia il movimento del 1977 con i suoi slogan in rima, figli delle sue filastrocche. Il Pci non gli riconoscerà mai alcun incarico ufficiale nel nazionale, e abbandonerà il Giornale dei genitori che Rodari dirige dal 1968. Amareggiato, in una lettera scrive: «Se quando in Italia si parla di letteratura infantile bisogna fare al primo posto il nome di un comunista, con tutto quel che la cosa comporta, qualche merito ce l’ho anch’io».
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Graphic novel: «Sepolti vivi», la protesta di trecento minatori
Tra Cabernardi e Percozzone, vicino a Ancona, nelle Marche si trovava, nel dopoguerra, la più grande miniera di zolfo di Europa, di proprietà della Montecatini che, nel 1952, aveva deciso di chiudere e chiudendo licenziare tutti gli operai. Così nacque la protesta che vide più di 300 minatori asserragliarsi al 13° livello della miniera per più di un mese. Gianni Rodari, scrisse in quella occasione una lunga inchiesta su Vie nuove, rotocalco comunista: Viaggio sulla terra dei sepolti vivi, intrecciando, nel racconto, la battaglia politica e le storie private di chi fu protagonista dell’occupazione. Una di queste storie è quella di Ernesto Donini, un giovane minatore di Pergola che «voleva vedere la moglie, Maria, dopo ventiquattro giorni, almeno per un istante». Così i due escogitarono un modo di incontrarsi per un breve saluto all’uscita di sicurezza, presidiata dai celerini.
«Tredici livelli di miniera significano ventisei rampe di scale, ogni rampa supera un dislivello pari a cinque o sei piani di una casa moderna. Questa ’uscita di sicurezza’ assomiglia da vicino alla tormentosa invenzione di uno scrittore fantastico». Al loro incontro Ciro Saltarelli e Silvia Rocchi si sono ispirati per un graphic novel pubblicato da El (Einaudi ragazzi, pp. 96, euro 14). Inedito e bellissimo omaggio al fantastico scrittore. (vanessa roghi)
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Scheda. «Enciclopedia» per lo scrittore
A conclusione del centenario della nascita di Gianni Rodari, Electa dedica allo scrittore il secondo titolo della nuova collana Enciclopedia: «Rodari, A-Z», autori vari, a cura di Pino Boero e Vanessa Roghi, pp. 320, euro 34). Una sequenza di voci correlate e indipendenti, insieme a una biografia illustrata con fotografie, copertine di libri per raccontare un fantasioso editorialista, ironico polemista, grande riformatore della scuola, attento osservatore del rapporto fra grandi e piccoli, nonché esploratore della letteratura e artefice di racconti incantati che hanno affascinato molte generazioni. Come fosse un abecedario letterario, il volume è composto da 84 voci scritte da 56 autori. Come spiegano i curatori, «è un invito a un cambio di prospettiva. Abbiamo pensato che Rodari non dovesse essere guardato con una lente di ingrandimento ma semmai con un cannocchiale, da lontano». Così, a spiare la sua figura da lontano, sono docenti, pedagogisti, giornalisti, intellettuali e accademici, si va dal mondo dell’editoria e dell’infanzia a quello della militanza politica, dai luoghi della vita e del lavoro alle passioni per i libri e le riviste.
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