Alias

Gianni Brera, barocco e melina

Gianni Brera, barocco e melina

Anniversario A trent’anni dalla scomparsa, ricordo e considerazioni sull’originalità della sua scrittura

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 17 dicembre 2022

L’espressionista del giornalismo sportivo. Così è stato definito Gianni Brera dagli studiosi del linguaggio sportivo. Nessuno come lui ha arricchito di inventiva la scrittura sportiva dalla seconda metà del ‘900 a oggi. A trent’anni dalla morte, avvenuta il 19 dicembre del 1992, per un incidente stradale dopo una cena tra amici proprio nella Bassa lombarda che gli aveva dato i natali, tante cose sono cambiate nel giornalismo sportivo. La parola scritta ha ceduto il passo al linguaggio televisivo sempre più urlato, tanto che l’Italia occupa il primo posto in Europa per decibel sportivi emessi davanti alle telecamere.
Gianni Brera sapeva rompere gli argini della lingua scritta, univa la competenza tecnica degli sport all’inventiva, sotto questo aspetto rappresentò un unicum, visto che i suoi termini ancora oggi sono parte integrante della lingua del calcio: punta, mezza punta, pretattica, rifinitore, realizzatore, verticalizzare e tanti altri.

Scapigliato
Così scrive nel Dizionario critico della letteratura italiana (Utet) Gilberto Lonardi docente universitario di Letteratura italiana ed europea presso le università di Parigi e di Verona: «Quanto a Brera, ha presto imposto, al contrario, una scrittura umorale, scapigliata, turbinosamente esibizionistica, e ricca di dati e referti umani, e un agonismo dialettico non di rado sferzante l’altrui modestia e «qualunquismo» (di specie, s’intende tecnico-sportiva). A non considerare gli ammorbidimenti di questi ultimi anni, Brera si colloca appunto, con archetipi probabilmente provinciali e involontari, su quel fronte delle più o meno violente obiezioni lombarde alla lingua, che allinea, per citare alcuni più o meno contemporanei, e adibiti ad attività ben diverse, Carlo Emilio Gadda, Camilla Cederna, Alberto Arbasino».

Il Gadda dello sport
La produzione linguistico-espressiva di Gianni Brera, particolarmente prolifica tra la metà degli anni ‘50 e i ‘60 suscitò l’ironia di Umberto Eco, che definì il giornalista sportivo una sorta di Gadda spiegato al popolo. Di tutta altra opinione furono lo scrittore Luciano Bianciardi, il poeta Vittorio Sereni, assiduo frequentatore di San Siro. Il critico letterario Cesare Garboli già nel 1966 sulla rivista Paragone scriveva: «Si riconosca-è tempo- a uno dei nostri più inventivi giornalisti il talento dello scrittore: Gianni Brera è un saggista, un costruttore di pure invenzioni, di squisiti arbitrii di intelligenza. Cosa importa se l’argomento che egli tratta quasi quotidianamente strania dalla letteratura?».

Fu proprio in quel periodo che un altro intellettuale, Enzo Siciliano, in un libro dedicato alle avanguardie letterarie dopo Officina, la rivista realizzata da Pier Paolo Pasolini, Roberto Roversi e Francesco Leonetti, collocò Gianni Brera in compagnia di Arbasino e Gadda. Garboli si spinse oltre e individuò nel filologo Gianfranco Contini il vero archetipo di Brera, non prima di aver rimproverato a Siciliano la scarsa competenza calcistica e l’idea aristocratica che la letteratura debba essere solo figlia della letteratura.

Penna tardo-gotica
La scrittura di Gianni Brera scivolava sul barocco quando celebrava quei personaggi che erano diventati eroi sportivi appena scomparsi, come accadde a Superga per la tragedia del Grande Torino. Era libera e inventiva, quando egli celebrava le imprese epiche di Fausto Coppi o di Gino Bartali al Giro d’Italia e al Tour de France.

Se in tanti consacrarono Brera e lo consideravano uno scrittore di rango, Carmelo Bene dalle colonne del Messaggero accusava il giornalista di San Zenone Po di aver consacrato con il suo pennino tardo-gotico l’idea del non-gioco o del contro-gioco. Le schermaglie tra i due culminarono in un incontro organizzato nel 1984 in Campidoglio da Renato Nicolini, allora assessore alla Cultura del comune di Roma.
Il Brera giornalista sportivo e scrittore fu oggetto di feroce polemica innescata da Oreste del Buono, che recensì positivamente il romanzo di Gianni Brera Il corpo della ragassa e negativamente il libro di Ennio Flaiano Tempo di uccidere, che OdB definì «un romanzaccio contadino».

Sul piano più strettamente politico Gianni Brera strizzò l’occhio al fascismo, arruolandosi nel corpo dei paracadutisti intorno ai venti anni e in seguito diresse per pochi mesi il Popolo d’Italia nelle edizioni di Pavia. Quando i partigiani del pavese lo cercavano dopo l’8 settembre, pensò di cambiare aria e raggiunse la Svizzera, dove si aggregò ai rifugiati politici sotto la direzione di Cino Moscatelli. Passò clandestinamente in Italia, in Val d’Ossola e si rese protagonista con i partigiani della Brigata Garibaldi di azioni rischiose contro i tedeschi, come quella di introdursi di notte in un deposito di armi e collocare una miccia con esplosivo per farlo saltare in aria, sapendo di avere a disposizione poco tempo tra l’accensione e l’esplosione.

Filosovietico
Dopo la Liberazione il Pci di Vercelli gli propose la direzione dell’edizione locale de l’Unità, ma Gianni Brera scelse la Gazzetta dello Sport del quale all’età di 30 anni divenne direttore nel gennaio del 1950. Si dimise cinque anni dopo, quando la proprietà lo accusò di essere filosovietico per aver dedicato in prima pagina un articolo a quattro colonne al russo Vlodymyr Kuc (Le Monde gliene dedicò nove), che aveva stabilito il record mondiale dei 5 mila metri: in tempi di cortina di ferro dare tanto spazio ai comunisti era imprudente. Brera dopo due ore presentò le dimissioni e passò al Giorno, dove trovò Gianni Clerici, Giorgio Bocca e Giuseppe Signori che con Davide Lajolo fondò la redazione sportiva dell’Unità.

Strizzò l’occhio alla Lega di Bossi e al Psi di Craxi. Prima di quel tragico incidente del 19 dicembre del 1992, il direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli gli offrì di scrivere sulle pagine culturali oltre che su quelle sportive e un assegno in bianco. Nella partita Brera inserì anche Gianni Mura. Avrebbe dato la risposta definitiva dopo Natale, ma non arrivò mai. Ancora oggi per tanti resta l’inimitabile Van Gogh della scrittura sportiva.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento