Farewell Gianluca. Tu che sorridevi e sapevi sorridere, con i tuoi vent’anni portati così, come si porta un maglione sformato su un paio di jeans. Perché per ricordare subito un grande uomo può bastare anche una piccola canzone d’amore.

Perché può succedere che un amore collettivo finisca così, con un dolore lancinante, che parte dal cuore, sfonda nello stomaco e finisce con il riempirti gli occhi di lacrime. Perché i tuoi vent’anni, caro Gianluca Vialli, erano pieni di gente che sapeva sorridere e di jeans portati con naturale eleganza, erano la Samp’Oro che sapeva rimorchiare a Genova lo scudetto e le Coppe, erano la “Bogliasco da bere”, un borgo meraviglioso che guarda il mare dove si allenava e si allena la Sampdoria e dove quel bere era tutta un’altra storia. Storia diversa rispetto a quello slogan inventato per la Milano del nuovo boom, ingordo e narcisista, perché poi a Milano c’è la nebbia e in fondo la réclame era quella di un digestivo, un amaro.

AMARO fu anche il tuo Mondiale nell’Italia del nuovo ed effimero boom, Italia 90, tempio di un socialismo che si stava smarrendo e diventava rampante. In quelle notti magiche, probabilmente, di magico non c’era nulla. Per te che ne hai viste tante, furono le meno allegre di una carriera dove vincerai tutto, alla Sampdoria e alla Juventus, senza mai deludere, anche in panchina, nella Londra di Chelsea e in quella del Watford, con Elton John presidente che ora potrà cantare un brano anche per la tua messa di requiem come fece con Candle In The Wind, per la sua amica Diana Spencer.

Farewell Gianluca, con gli occhi gonfi di rabbia e speranze, come se ti vedessero ancora salire in bicicletta sulla rampa di Bogliasco, sotto il calore del sole e il sapore della salsedine. Come le gente di Bogliasco, avevi la generosità che non abbandona mai chi va per mare.

Sotto quel sole, davanti a quel vento, d’inverno bastava un maglione, «mai portato a Genova un cappotto», raccontavi quado poi atterravi da Londra e finivi a raccontar di calcio negli studi milanesi di Sky. Nessuno chiacchierava di football con la tua competenza e la tua semplicità, avevi tutto per “tirartela” e invece cercavi ostinatamente il dialogo e se proprio eran dolori chiudevi tutto e andavi in buca con un sorriso.

SCOPPIAVI DI VITA, caro Gianluca. E avevi un dono raro: non sapevi deludere le persone, proprio non ti riusciva ed era qui che nasceva probabilmente quella superficiale immagine di ostentata riservatezza. Perché come ogni grande uomo di sport sapevi che tutto va allenato, anche il modo di aprirsi agli altri, un passo alla volta. Eri riservato, mai scontroso. Ma in realtà eri pirotecnico, sempre, in campo, come nella partita della vita.

Farewell Gianluca, addio Vialli, ci viene da salutarti così, come fanno i sudditi di una regina che non c’è più, perché tu eri davvero un uomo di mondo, mica come certi ex colleghi che leggono due righe di Osvaldo Soriano e pensano di avere in tasca tutti e cinque i continenti. Tu un paio di libri li avevi anche scritti, il primo si intitolava The Italian Job, il secondo Goals ed è una meraviglia. Ti si può dire che, insieme a quelli scritti da Jorge Valdano e Marco Tardelli, Goals è il più bel libro mai uscito dalle penna di un calciatore. Chi ha avuto la fortuna di confessarti questo apprezzamento letterario, scatenava una tua immediata reazione. «Quindi posso evitare di sentirmi dire che ho scritto più libri di quelli che ho letto?». Puoi, caro Gianluca, perché in realtà tu potevi fare quasi tutto, almeno per lo scriba che ha avuto il piacere di frequentarti.

COSÌ, NEL RICORDARE come sapevi affrontare la vita, torna in mente un’altra qualità: avevi ironia, ma soprattutto autoironia, che è merce rarissima per chi nella vita ha avuto fama, successo, quattrini ed era di aspetto bello, fiero ed elegante. Deve essere stata l’aria di quella Bogliasco da bere, perché la più alta concentrazione di sapersi simpaticamente prendere in giro vi ha contagiato un po’ tutti, anche amici di sempre ed ex compagni come Attilio Lombardo o Roberto Mancini, che hanno ancora sulle spalle il peso dell’addio a Sinisa Mihajlovic e di scherzi ora non vogliono davvero sentir parlare.

SORRIDEVI E SAPEVI SORRIDERE, caro Gianluca, anche con quel peso dentro di un cancro che ti aveva attaccato il pancreas, con il quale combattevi da quasi un decennio e del quale non hai voluto parlare in pubblico fino a sei anni fa. Quando nel 2019 scesi a Torino, al Salone del Libro, per presentare il tuo Goals, era maggio, c’era il sole, qualche vecchio amico della Juventus voleva andare a cena con te e tu dissi un’altra volta, ora sono troppo stanco, «ora che lotto ancora con il cancro, un ospite che puzza». Già era maggio, niente neve sulle Alpi, un po’ di sole e tu con un maglione addosso e sotto un altro maglione e sotto un altro ancora, perché come racconterai agli amici prima e poi a tutti, «meglio non far vedere che sono così magro». Perché la malattia e la battaglia consumano il corpo, non i sogni: «Voglio resistere abbastanza per vedere le mie figlie sposarsi».

Farewell Gianluca, te ne sei andato a 58 anni. Sei stato un eroe giovane e bello, un uomo malato e coraggioso. Due estati fa ci hai fatto piangere e hai pianto in un abbraccio infinito con il tuo amico Roberto Mancini, quando sul prato di Wembley avete riscritto la storia del calcio, preso per mano la giovane Italia del pallone e vinto un titolo europeo ormai archiviato come le contestazioni del Sessantotto.

QUALCHE TEMPO FA, nella quarta di copertina della Bella Stagione (il libro sulle imprese della Sampdoria dei campioni) hai voluto che scrivessero: «Non credete a chi vi dice che il calcio è una guerra. È uno sport, un gioco, e ai giochi si gioca con gli amici». Altre sono le guerre, una è appena finita in questa brutta stagione. Grazie di aver giocato con noi, caro Gianluca. La partita finisce qui, gli amici ti piangono. E tra le lacrime proveranno a sorridere, come hai sempre fatto tu. Anche per questo era impossibile conoscerti e non volerti bene.