Gianfranco Viesti: «Lo Spacca Italia è l’inizio di un processo irreversibile»
La secessione dei ricchi Autonomia differenziata, intervista all'economista Gianfranco Viesti: "Questa strada si sa dove comincia, ma nessuno sa dove finisce. Se l’intesa passa si apre uno scenario incognito. E non ci sarà la possibilità di un referendum abrogativo".
La secessione dei ricchi Autonomia differenziata, intervista all'economista Gianfranco Viesti: "Questa strada si sa dove comincia, ma nessuno sa dove finisce. Se l’intesa passa si apre uno scenario incognito. E non ci sarà la possibilità di un referendum abrogativo".
Professore Gianfranco Viesti, economista all’università di Bari e autore del pamphlet online La secessione dei ricchi (Laterza), i governatori di Lombardia Fontana e del Veneto Zaia non sono disponibili a firmare l’intesa sull’autonomia differenziata. È una buona notizia?
È una mossa politica. È interessante il fatto che la loro sia una reazione allo stralcio della regionalizzazione della scuola dall’intesa, a dimostrazione della rilevanza del tema. Provano a riaprire la discussione con il governo, minacciandolo.
Ma se non votano significa che Salvini fa cadere il governo?
Non ne ho la più pallida idea. Ritengo che da sempre sia questo l’elemento più qualificante del programma della Lega, molto più di «quota 100». Non a caso era l’unico punto del programma di governo con i Cinque Stelle indicato come prioritario.
Salvini vuole fare della Lega un partito nazionale. Perché sostiene un progetto che penalizza molte regioni del Sud?
Vorrei chiederglielo anch’io. Non condivido le idee politiche della Lega, non ho nemmeno particolare stima delle loro proposte che trovo molto improvvisate. Non mi pare che offrano una proposta coerente di futuro all’Italia. È un’accozzaglia di vecchie rivendicazioni e nuove pulsioni da cui emergono anche contraddizioni come questa.
Cosa pensa dell’Emilia Romagna, l’unica regione amministrata dal Pd, che chiede l’autonomia differenziata?
Sono estremamente critico per più motivi. Per la grandissima ampiezza delle competenze richieste. Perché, in rottura con la sua storia politica, la classe dirigente emiliano romagnola non si è messa alla testa di una proposta di regionalismo per l’intero paese, ma ha pensato solo a se stessa. Credo che ciò si spieghi con la paura, comprensibile, di perdere le prossime elezioni regionali e dalla scelta di portare alcuni temi dell’avversario nel proprio bagaglio di proposte. Purtroppo, l’Emilia ha oggettivamente condiviso il percorso con le altre due regioni leghiste, ne ha coperto politicamente le richieste. Bonaccini non ha chiesto soldi, ma ha firmato testi che glieli potrebbero garantire.
Ma così non favorisce Salvini?
Temo di sì. Spero proprio che la Lega non vinca le elezioni regionali, ma mi piacerebbe che nel Pd ci fossero contenuti molto diversi. E credo che la situazione emiliana abbia «imposto» il silenzio a questo partito, ed è grave. Oggi non c’è opposizione all’autonomia differenziata; da un anno manca una posizione del Pd sul tema più importante della politica italiana. Il Pd ha rinunciato a questo tema nella campagna elettorale per le Europee: aprendo così spazi molto grandi alla Lega al Centro-Sud. Ma il Pd non ha rinunciato solo alla rappresentanza dei cittadini del Centro-Sud, ma anche quella di vaste fasce dei cittadini del Nord contrari. Milanesi che spasimano per la scuola lombarda ne vedo pochi; due terzi dei lombardi non sono andati a votare il referendum del 2017. Con una campagna informativa precisa sono convinto che in molti avrebbero posizioni ben diverse da Fontana.
Quali sono i punti più importanti di questa operazione?
Sulle infrastrutture, pagate da tutti gli italiani, Veneto e Lombardia chiedono il passaggio della proprietà alle regioni, con i relativi incassi da concessioni. E con potere di veto per nuove infrastrutture. C’è poi la scomparsa delle politiche industriali nazionali con la totale regionalizzazione dei fondi per le imprese e per l’innovazione. C’è la regionalizzazione delle politiche di tutela e valorizzazione dei beni culturali fino a temi apparentemente minori, ma che possono diventare centrali, come la regionalizzazione della previdenza integrativa e dalla cassa integrazione.
Perché queste regioni vogliono gestire l’extra-gettito fiscale?
Le faccio un esempio. Si pensa che una competenza in Veneto costi 100. Per garantirla si stabilisce una certa percentuale del gettito dell’Iva, che frutta 100. Dopo qualche anno il gettito Iva può crescere di più dei costi della competenza. Ma la percentuale resta sempre uguale. Sono più soldi. Le regioni che ne hanno fatto richiesta se li tengono: non perché sono state particolarmente brave a gestire ma perché hanno agganciato il loro finanziamento ad una percentuale fissa. Ma più a loro, significa meno agli altri, dato il totale delle risorse disponibili nel paese. In Italia esiste la legge 42 del 2009, complessa ma ragionevole, che attua il nuovo articolo 119 della Costituzione e determina i principi in base ai quali vengono finanziate comuni e regioni. La bozza in discussione la ignora totalmente per stabilire meccanismi più favorevoli – come quello appena accennato – per le regioni che chiedono l’autonomia. Regole ad hoc che mirano a favorirle a danno delle altre.
C’è il rischio che questa autonomia aumenti le differenze tra i sistemi sanitari regionali?
Rosi Bindi, Livia Turco e Nerina Dirindin hanno scritto un documento molto preoccupato sulle conseguenze che può provocare anche in materia sanitaria, in particolare sulla gestione del personale e sulle scuole di specializzazione. Sono norme che mettono in moto un percorso irreversibile che, col tempo, può rafforzarsi. Ciò che appare oggi un cambiamento minore, tra dieci anni può portare a una modifica profonda che, in sanità, si può cumulare agli squilibri già esistenti.
Ipotizziamo che riescano ad approvarla. Che cosa accadrà dopo?
Questo processo si sa come comincia, ma nessuno sa come finisce. Si mette in moto un meccanismo fuori dal controllo del parlamento e del governo. È fondamentale che oggi sia il parlamento a decidere. Ma è altrettanto essenziale che sia modificato il percorso attuativo, il controllo su ciò che avviene dopo cinque o dieci anni. Al momento tutto il potere è in mano a commissioni tecniche bilaterali Stato-regioni, al riparo da qualsiasi controllo parlamentare. Alcuni giuristi temono anche al riparo da possibili ricorsi alla Corte costituzionale.
Queste decisioni possono essere oggetto di un referendum abrogativo?
No, è escluso dalla Corte costituzionale. Ulteriore motivo per cui qualsiasi decisione del parlamento apre uno scenario incognito e irreversibile. Per fermarlo ci vorrebbe l’intesa della regione che torna indietro, ma questo è inimmaginabile.
Qual è l’interesse dei Cinque Stelle a sostenere l’autonomia?
Il tema era totalmente al di fuori della loro agenda, così come non sono un movimento particolarmente legato allo sviluppo del Sud. Oggi però hanno moltissimi parlamentari del Centro-Sud.
Può accadere che votino contro?
Può essere, anche se il Movimento ha un controllo molto verticistico. Vorrei rivolgere un appello a tutti quelli che si stanno interessando al tema: confrontiamoci in tutte le sedi, specie localmente, con i parlamentari dei Cinque Stelle. Per informarli e motivarli a difendere gli interessi di tutti gli italiani; a metterli davanti alle proprie convenienze di parlamentari. Da agosto ad oggi sono stati fatti grandi passi in questa direzione. Ne occorrono ancora.
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