Giancarlo Iliprandi, il grafico verbo-visivo che progettava con i fotogrammi
Arte/Monografie Giovanni Baule: «Giancarlo Iliprandi. L’occhio del grafico per la fotografia», da Corraini
Arte/Monografie Giovanni Baule: «Giancarlo Iliprandi. L’occhio del grafico per la fotografia», da Corraini
Prima che il digitale modificasse in profondità la comunicazione visiva, il graphic designer possedeva esclusivamente il disegno e la fotografia per svolgere il proprio mestiere, che nella serialità tipografica trovava ogni volta le sue verifiche e conferme.
La didattica del Bauhaus, quella «costruttivistica» di Moholy-Nagy, per la fotografia, e di Albers e Klee, per il disegno, aveva chiarito le relazioni tra le due pratiche e la pluralità di possibilità aperte per le ricerche sulla struttura formale della percezione. Negli anni cinquanta il foto-grafico – l’insieme tecnico ed estetico di grafica e fotografia – vivrà una stagione di novità, da noi con caratteri del tutto originali, favorito dall’evoluzione tecnologica degli apparecchi fotografici e dall’innovazione dell’industria tipografica.
Intorno alle molteplici traiettorie del graphic design un posto di assoluta rilevanza l’ha avuto Giancarlo Iliprandi (1925-2016), al quale Giovanni Baule dedica una monografia illustrata dal titolo Giancarlo Iliprandi L’occhio del grafico per la fotografia (Corraini, pp. 304, € 50,00), frutto di «un’impresa a più mani» ideata dallo stesso designer milanese quando decise, quale sede del suo archivio, l’Archivio del Moderno dell’Università della Svizzera italiana. A tal proposito il suo scritto «Appunti per la pubblicazione», in apertura del libro, fa comprendere subito lo specifico ruolo che ebbe la fotografia nel suo lavoro. «La fotografia – scrive Iliprandi – contribuisce, con le proprie immagini, a completare la comunicazione visiva», ma in alcuni casi a essere l’«elemento fondamentale nella costruzione dell’immagine grafica».
Della «fusione» della fotografia con la progettazione grafica si occuperà Iliprandi nel corso della sua vita. Ne fornisce la prima prova, un decennio dopo le sue esperienze nella scenografia teatrale (si diplomò in scenotecnica all’Accademia di Belle Arti di Brera nel 1949), con delle fotografie a contrasto e «semi-astratte» (copertina di «Serigrafia», 1959), già orientate alla grafica, verso la quale, già dall’inizio degli anni cinquanta, può annoverare clienti come La Rinascente, Rai, Motta, Esso, Singer, Agip e Bompiani: in queste due ultime aziende introdotto da Bruno Munari, al quale fu particolarmente vicino.
Alla fotografia interagente con la grafica secondo l’esecuzione diretta in camera oscura, senza impiego della macchina, alla maniera dei rayograph di Man Ray, oppure alla rielaborazione in fase di stampa dei fotogrammi per una loro riduzione grafica, Iliprandi preferirà nettamente la messa in pagina dello scatto fotografico riprodotto, a volte eseguito con perizia da lui stesso. La qualità del grafico, come scrive Baule, si misura nella capacità di sperimentare il migliore uso dei fotogrammi, com’è dimostrato ad esempio nel «montaggio sequenziale come estrema sintassi di quel sistema verbo-visivo che è sostanza stessa della grafica».
È nella pagina, quindi, dove trova equilibrio la dialettica tra immagine e testo, che egli insegue, con sensibilità ed empatia, l’attenzione del lettore-consumatore. Per soddisfare i rigidi obiettivi imposti dalla pubblicità sceglie un modo diverso di comunicare volgendo lo sguardo al «mondo delle cose vive»: una rottura con il soggetto in posa che lo aveva preceduto.
In questa direzione composta di realismo e spontaneità si orientano i progetti grafici degli anni sessanta per La Rinascente. In stretta collaborazione con i fotografi Serge Libiszewiski, Carlo Orsi, Federico Patellani, Oliviero Toscani, Iliprandi restituisce secondo gli schemi del foto-racconto la flagrante realtà di una classe borghese appagata dal benessere del miracolo economico.
Un decennio dopo sarà la comunicazione di prodotto a prendere maggiore peso con le immagini fotografiche nei sistemi di sedute e imbottiti di Arflex. I fotografi Aldo e Mariarosa Ballo, Mauro Masera, Photo Team saranno chiamati ad attenersi al rigore imposto dal progetto grafico, ma sempre con la finalità di «scaldare quanto possibile la scena», come nel progetto Sediamoci, ogni tanto, dove posano seduti una serie di soggetti abitualmente in piedi nello svolgere il loro lavoro: un vigile urbano, un portalettere, un cameriere, eccetera.
Quando, tra il 1969 e il 1972, progetta per Rossana, fotografandole, le cucine a blocco centrale Isola, Penisola, Arcipelago (quest’ultima esposta nel 1972 alla famosa mostra newyorkese Italy. The New Domestic Landscape), l’immagine del prodotto industriale domina la pagina senza alcun riferimento all’ambiente, e dove pure c’è una scena questa è sempre simbolica. Nel caso, invece, di piccoli oggetti di arredamento (bastoni porta tende della Stanley) o di altra merceologia (farmaci della Ankerfarm), il designer milanese sospende il soggetto nel «limbo fotografico» dello still life.
Baule esamina la centralità della fotografia in Iliprandi non solo nella comunicazione visiva del prodotto industriale, ma anche in quella «impaginata» in diversi supporti comunicativi e contesti che vanno dalle grandi superfici dello spazio pubblico, come i padiglioni della Fiera Campionaria di Milano, fino alle edizioni e ai periodici di fotografia. Rientra, nel primo caso, la sua collaborazione nel 1960 con i fratelli Castiglioni per il Padiglione Rai ai Giochi della XVII Olimpiade di Roma, dove per l’allestimento sarà decisiva la presenza della foto-grafica nella rielaborazione di cinquanta foto sportive d’agenzia retinate e double face in grande formato a comporre le pareti dello spazio espositivo.
Collegata alla sua prolifica attività di designer, l’impegno di Iliprandi per la cultura del progetto si svolgerà con singolare vigore all’interno delle riviste di architettura. Nel 1969 «Abitare» accoglie molti suoi reportage che egli cura anche nell’impaginazione, proseguendo negli anni ottanta come art director di «Interni».
Il suo contributo più importante sul piano culturale è però costituito dai quattro volumi del «Linguaggio grafico» (Editoriale AZ): ormai una rarità bibliografica, segno anch’esso della nostra smemoratezza verso la dimensione collettiva di un laboratorio d’idee ed esperienze che riteniamo unico nel suo genere.
Eppure, a conclusione del libro, l’intervista rilasciata a Angelo Schwarz su ciò che di «emblematico» l’Italia abbia lasciato nel campo del foto-grafico, ci fa riflettere. «Purtroppo in Italia non vedo momenti significativi – dichiarò Iliprandi –, nel nostro paese le cose vengono “riprese”, quindi, per lo più quando qualcosa succede è già successo da altre parti».
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