Una scena da «Disco Boy» Cinema di spazi, rarefatti, sfuggenti a certa prerogativa definitoria del logos (direbbe Cortázar: non casualmente viene in mente lui e quel libro combinatorio, cangiante che è Rayuela), e invece aperti allo sguardo errante, sonnambolico – pronto a equivocare le coordinate di stazio e di tempo, proprio come quando ci si sveglia e per un po’ non si sa dove ci si trovi – Disco Boy di Giacomo Abbruzzese appare come un oggetto eteroclito, occhiuto; organismo affetto da eterocromia (occhi di due colori diversi) e così vede le cose doppie, come illuminate di vuoti, sibili; di...