Gerusalemme nelle mani della destra, Palestinesi invisibili
Israele Le municipali israeliane hanno riconsegnato le chiavi della città santa a Nir Barkat, un stretto alleato del premier Netanyahu. Dominio degli ultraortodossi in consiglio comunale. I palestinesi hanno boicottato il voto
Israele Le municipali israeliane hanno riconsegnato le chiavi della città santa a Nir Barkat, un stretto alleato del premier Netanyahu. Dominio degli ultraortodossi in consiglio comunale. I palestinesi hanno boicottato il voto
Persone comuni, donne, uomini e bambini. Volti sconosciuti che erano sulle foto esposte ieri al Centro culturale “Isaaf Nashashibi” dal gruppo per i diritti umani “Adalah”, nel giorno dei risultati delle elezioni municipali a Gerusalemme e in Israele. “Famiglie spezzate” è il titolo di questa mostra speciale e allo stesso tempo angosciante che mostra coniugi divisi, bambini separati da uno dei genitori, non per motivi personali o divorzi ma a causa delle politiche restrittive di Israele a Gerusalemme Est e nelle comunità arabe all’interno dei suoi confini. Un problema drammatico ed enorme, che riguarda direttamente la Città Santa, eppure ignorato da gran parte dei media internazionali che hanno seguito il voto per l’elezione di sindaci e consigli comunali in quasi 200 centri abitati israeliani. Tanti, troppi, hanno dimenticato che Gerusalemme per le risoluzioni internazionali – a cominciare dalla 181 dell’Onu – era e resta una città occupata militarmente e che Israele ha proclamato sua capitale senza il riconoscimento del resto del mondo. Come si è tralasciato il “dettaglio” che i 300mila abitati palestinesi di Gerusalemme (più di 1/3 della popolazione) ancora una volta, come negli ultimi 46 anni, hanno boicottato il voto. «E’ un messaggio per il premier Benyamin Netanyahu che vorrebbe vedere la città capitale unificata di Israele», ha commentato il ministro palestinese Adnan Husseini. L’attenzione dei media internazionali è stata solo per una sorpresa annunciata e che poi non c’è stata: la presa definitiva di Gerusalemme, o almeno di quella ebraica, da parte degli ebrei religiosi.
Come avevano indicato i sondaggi Nir Barkat, il sindaco laico (di destra) di Gerusalemme, appoggiato da Netanyahu, ha conquistato con il 51% dei voti il secondo mandato respingendo l’assalto dello sfidante, l’ebreo osservante Moshe Leon, sostenuto dall’ex ministro degli esteri Avigdor Lieberman. Piuttosto sarebbe stato opportuno rimarcare un altro dato. La battaglia elettorale a Gerusalemme si è svolta tutta a destra perchè in questa città, o almeno nella parte ebraica, la sinistra non esiste, nel migliore dei casi è espressa da alcune individualità, niente di più. E a chi parla di «vittoria dei laici» occorre ricordare che Barkat, in effetti, è sindaco solo di una porzione modesta di gerosolimitani perchè due giorni fa ha votato solo il 38% degli aventi diritto (il dato nazionale sfiora il 42%, solo nei centri abitati arabi l’affluenza alle urne è stata massiccia).
Ieri Barkat – che in questi anni ha proseguito l’opera di colonizzazione della zona araba sotto occupazione avviata dai suoi predecessori e negato risorse e servizi adeguati alla popolazione palestinese (le statistiche dicono che l’80% degli arabi residenti a Gerusalemme vive sotto la soglia di povertà) – ha festeggiato con i suoi sostenitori e si è detto felice della riconferma. Dovrà però fare i conti con un consiglio comunale dominato dagli ebrei ultraortodossi, sempre più influenti nella vita di Gerusalemme, specialmente nel mondo della scuola. Il potere dei religiosi è destinato ad aumentare alla luce della crescita demografica del segmento ultraortodosso degli abitanti. Già ora il 39% dei bambini che frequentano le scuole elementari della città provengono da famiglie ortodosse e ultraortodosse.
Sfide che non devono affrontare, almeno per il momento, i colleghi di Barkat, Ron Hulday e Yona Yahav, riconfermati agevolmente nelle laiche Tel Aviv e Haifa. Hulday, con ogni probabilità, proseguirà l’opera di “cementificazione” di Tel Aviv tanto cara ai palazzinari israeliani trascurando i quartieri periferici più poveri dove spesso è sfociata in violenza la frustrazione degli abitanti, pronti a far pagare ai migranti africani la mancanza di servizi adeguati causata dalle politiche di una amministrazione che privilegia i grattacieli, i centri commerciali e l’abbellimento del centro e del lungomare della città. Sorride anche Yona Yahav espressione di una Haifa che sotto la sua gestione assomiglia sempre meno a quella città tollerante, aperta, che qualcuno (con troppa generosità) aveva eletto a simbolo della «convivenza tra ebrei e arabi». E a conferma che gli uomini politici indagati piacciono anche in Israele e non solo a certi italiani, è da segnalare la riconferma di alcuni sindaci sotto inchiesta per abuso d’ufficio e corruzione.
Infine non può passare inosservato il flop a Nazaret, la principale città araba, della parlamentare Hanin Zouabi (nel 2010 era sulle navi della Freedom Flotilla dirette a Gaza e arrembate dai commando di Israele: 9 passeggeri uccisi). Ha ottenuto appena il 12% dei voti. E’ stato eletto sindaco per appena 21 voti di scarto Ali Salem che ha messo fine al regno di Ramez Jeraizy durato quasi venti anni.
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