Germania: quando il calcio lotta contro il razzismo
Sport L'esempio dei club tedeschi nella Bundesliga. In Italia le iniziative della Roma e i curiosi distinguo del presidente Lotito
Sport L'esempio dei club tedeschi nella Bundesliga. In Italia le iniziative della Roma e i curiosi distinguo del presidente Lotito
I seguaci del nazismo fuori dalle curve. L’Italia che si interroga sui continui fenomeni di intolleranza sugli spalti del pallone, con addetti ai lavori – soprattutto calciatori come Edin Dzeko oppure Blaise Matuidi, quasi rassegnati alla violenza verbale e l’ignoranza da parte del tifo organizzato -, dovrebbe fare un salto nel calcio tedesco. Con qualche lodevole iniziativa, come la Roma elogiata dalla stampa internazionale per aver bannato a vita il non – tifoso prodigo di espressioni intolleranti verso il difensore giallorosso Juan Jesus. Un segnale importante, nel silenzio della Lega di A, anche se poi arrivano le dichiarazioni di Lotito, che ieri sera a margine di un consiglio federale della Fgci afferma: «Non sempre la vocazione ‘buu’ corrisponde effettivamente a un atto discriminatorio o razzista – ricordo che quando ero piccolo, spesso a chi non era di colore, che aveva la pelle normale, bianca, gli facevano ‘buu’ per scoraggiarlo a segnare il gol davanti al portiere», che rischano di vanificare i tentativi di opporsi alla deriva razzista.
E QUINDI per rafforzare il concetto, per portare l’Italia almeno al livello degli altri Paesi, in cui non mancano in ogni caso episodi di intolleranza, si potrebbe studiare il caso Bundesliga, ovvero la prima divisione, ma anche le categorie inferiori. Dove l’intreccio con la destra estrema, presente in molte delle curve più esagitate del tifo italiano, è stato parecchio combattuto, se non del tutto sradicato. E in generale la lotta alla discriminazione razziale si sta rivelando efficace per il rispetto delle normative imposte da parte governativa e la volontà dei club di non tollerare comportamenti deleteri per l’immagine del torneo.
PER ESEMPIO, all’Eintracht Francoforte, dove il presidente, Peter Fischer, ha pubblicamente bannato ogni vicinanza con il manifesto ideologico di Alternative for Deutschland. E anche il Werder Brema si è detto assolutamente incompatibile con il partito di estrema destra tedesco. Mentre uno degli ultimi casi ha toccato il presidente dello Schalke 04, Clemens Tonnies, sospeso dalla dirigenza del club per alcune espressioni discriminatorie verso gli africani. Al Borussia Dortmund, qualche anno fa c’erano i fan project, organizzazioni socio-pedagogiche finanziate dallo stato, dalla federcalcio tedesca e dalla città di appartenenza, incaricate di formare il tifoso, educandolo a una cultura inclusiva e tollerante. Al Bayern Monaco sono stati stanziati parecchi soldi, milioni di euro, per i migranti sbarcati a Monaco di Baviera e nello stesso periodo molte curve esponevano gli striscioni Refugees Welcome, solidarietà e vicinanza verso la migrazione in corso in Europa.
CERTO, resistono segmenti di tifo intollerante, come nell’ex Germania Est, con i tifosi della Dinamo Dresda, gli ultrà, gli HoGeSa (Hooligan contro i salafiti), nato cinque anni fa con posizioni anti Islam e razziste, obiettivo la ripulita dei musulmani dalla Germania. E non mancano, disseminati, riferimenti all’Olocausto, ad Auschwitz, allo sterminio degli ebrei. A proposito dello Schalke 04, due anni a Dusseldorf furono diffusi adesivi sugli spalti di Anna Frank con la maglia del club della Ruhr. Va ricordato però che il codice penale tedesco punisce con pene fino a tre anni di carcere reati come l’apologia del nazismo e lo sfoggio di striscioni o materiale a esso correlato.
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