Germania, diritti digitali “fai da te”
Germania Pochi giorni fa è stata annunciata a Berlino la nascita di un'associazione che tutela i diritti digitali senza un ordine dei tribunali. Si faranno giustizia da soli.
Germania Pochi giorni fa è stata annunciata a Berlino la nascita di un'associazione che tutela i diritti digitali senza un ordine dei tribunali. Si faranno giustizia da soli.
Una “stanza” per la giustizia privata. Per la giustizia fai da te, un po’ come si racconta che accadesse nel Far West. Solo che qui siamo in Germania ed in ballo non c’è un furto di bestiame ma i diritti, i diritti digitali di milioni di persone. I fatti: senza alcun clamore, pochi giorni fa, è stata annunciata a Berlino la nascita della “Clearingstelle Urheberrecht im Internet”, CUII in acronimo. Si traduce: la stanza di compensazione per il copyright su internet. Non è un ente pubblico, né un organismo creato per legge. È un’associazione, una coalizione di privati: ci sono dentro tutte – ma proprio tutte-tutte – le grandi compagnie telefoniche che operano in Germania, da Mobilcom-Debitel a Telefonica, da Telekom a Vodafone Germany. E tutti – ma proprio tutti – i colossi dell’entertainment. Insieme hanno “valutato” che le normative e le leggi per difendere i loro interessi sono troppo lente. Anche quelle a loro più favorevoli, come la direttiva europea sul copyright che a breve diventerà vincolante anche a Berlino. C’è troppa burocrazia nella difesa dei loro “diritti riservati”. E così la legge se la faranno da soli: hanno deciso che bloccheranno i Dns dei siti che considerano “pirati”. Quelli che secondo loro “strutturalmente violano il copyright”. Senza un ordine dei tribunali. Provvedimenti extragiudiziali, insomma. Appunto, si faranno giustizia da soli. E il Bundesnetzagentur – l’agenzia federale che dovrebbe controllare le comunicazioni – approva. O almeno, fino ad ora, non ha trovato nulla da contestare. Anzi, saluta l’iniziativa come “uno strumento per evitare lunghi ed estenuanti processi che pesano sui titolari dei diritti”.
Certo, è facile obiettare che il blocco del DNS ormai serve a poco. Per farla breve, in pratica sarebbe una sorta di sipario che cala fra l’utente ed il sito “punito”: le pagine Web restano attive, ma il provvedimento impedisce di associare l’indirizzo che si scrive nel browser (www.ecc) al proprio indirizzo ip, fatto di numeri (1.191…). Un provvedimento – vale la pena ricordarlo: adottato da tutti i paesi autoritari, per ultimo dai generali di Myamar e prima di loro da Erdogan – non troppo difficile da aggirare. Ma, a parte – come scrivono le associazioni per i diritti digitali tedesche – che si tratta di procedure che se non sono complicate, sicuramente non sono alla portata di tutti gli utenti, resta il senso di questa misura extragiudiziale. Resta la gravità di una scelta nella quale i potenti del settore (in una alleanza che può sorprendere solo chi raccontava di uno scontro all’epoca della direttiva europea sul copyright), i colossi delle comunicazioni e dell’intrattenimento decidono cosa censurare. Cosa si potrebbe vedere, leggere e ascoltare e cosa no.
C’è da dire che il tentativo di bloccare i Dns ha una storia in Germania. Una storia dentro la quale si ritrova anche il nome di Ursula von der Leyen – sì, proprio lei – che dodici anni fa, quand’era ministra della famiglia a Berlino, lo propose come strumento per combattere la pedofilia in rete. Lo propose, lo fece approvare ma la reazione fu talmente vasta che dopo appena un anno e mezzo la norma fu superata. E dimenticata.
Ora, senza passare per una discussione parlamentare, ci hanno pensato da soli i privati. Che per dare una parvenza di legalità alla loro “camera di compensazione” hanno chiamato a presiederla un anziano giudice in pensione, che parecchi anni fa era nei ruoli della Corte federale di Giustizia. Tutto qui.
Sarà lui, insieme ai rappresentanti delle major e delle telecom, a decidere se “censurare” – provare a censurare – un sito, un indirizzo, perché da lì si potrebbero scaricare film pirati. E sarà sempre lui, con i suoi soci, a valutare se vale la pena impedire l’accesso ad una pagina che magari ospita anche altre informazioni, altri file perfettamente “legali”. Sarà lui ad inaugurare questo metodo che non prevede discussioni con gli eventuali “imputati”. Metodo che in genere precede ben altre misure di censura. Metodo che la Bundesnetzagentur tollera completamente, salvo – come dice il suo presidente Jochen Homann – “riservarsi il diritto di effettuare un successivo esame” in caso di ricorsi.
Tutto bene allora per le compagnie telefoniche e per le major? C’è un problema, un non piccolo problema per loro. C’è il regolamento europeo sulla neutralità della rete, uno dei più avanzati al mondo. Un testo che non lascia adito a dubbi, spiegando che “i provider non sono autorizzati a bloccare se non con un’autorizzazione legale”. Vieta, insomma, vieta senza accezioni, “il blocco arbitrario dei siti Web da parte dei fornitori di Internet”. Ed è forse arrivato il momento perché il Berec, l’organismo che fornisce assistenza ai legislatori europei, o chi per lui si faccia sentire. E riporti la Germania dentro le leggi.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento