George Sen One Morillo, black panther salvata dalla politica
Incontri Incontro romano con l’artista newyorchese, impegnato nella difesa dei diritti della comunità nera diventato un simbolo. E anche un brand
Incontri Incontro romano con l’artista newyorchese, impegnato nella difesa dei diritti della comunità nera diventato un simbolo. E anche un brand
Al Forte Prenestino, i writer sono di casa. Il centro sociale romano (occupato e autogestito dal 1986) custodisce le tracce di grandi artisti di strada. Da venerdì scorso, su una delle pareti del vecchio forte militare è rimasta incisa anche l’opera del celebre writer newyorchese – scrittore, musicista, idolatrato dal cinema indipendente – George Sen One Morillo. Un artista impegnato nella difesa dei diritti della comunità nera, diventato un simbolo e anche un brand per borse e tessuti. Sen One è venuto in Italia insieme ad altri 3 attivisti legati alle Black Panther: Dequi Odinga, insegnante, esponente del Sekou Odinga Defense Committee e moglie di Sekou Odinga, un prigioniero politico arrestato nell’81 e ora in libertà condizionale; Yaa Asantewaa Nzingha, attrice, educatrice e a sua volta attiva nel Committee, e il rapper militante Mutulu Olugbala aka M1, from «dead prez». Al Forte, hanno animato una serata di dibattito e informazione sul «prezzo della libertà», pagato dagli africani nati in Nordamerica che, nei ’60 e ’70 hanno deciso di dire basta al razzismo e alla sopraffazione. Un prezzo che, nel secolo delle rivoluzioni, hanno scelto di pagare in molti, di qua e di là dell’oceano. E di questo ha ascoltato e discusso la stracolma sala cinema con persone di tutte le generazioni.
Il Black Panther Party nasce ufficialmente a Oakland, in California, nell’ottobre del 1965, per iniziativa di Bobby Seale e di Huey P. Newton. I due marxisti iniziano un lavoro politico nel ghetto partendo dai bisogni concreti ed elaborano una piattaforma del partito in dieci punti che si propone di raggiungere tutta la comunità nera. Ai primi punti del loro programma, le Black Panther mettono i diritti basilari – casa, lavoro, istruzione – e «la libertà e il potere di determinare il destino» della propria comunità nera. Poi chiedono la fine della repressione e degli assassinii e la libertà dei prigionieri politici. Al decimo, dicono fra l’altro di volere: «Terra, pane, case, istruzione, giustizia e pace».
In seguito, uno dei principali dirigenti, sarà George Jackson, autore del libro I fratelli di Soledad, scritto durante la detenzione in carcere. L’intento era quello di dotare la comunità nera di un’organizzazione di autodifesa. Nel 1965 era stato ucciso Malcom X, un importante simbolo di rivolta per la comunità nera, ma che – secondo il Plack Panther – non aveva prodotto un programma di riforme sociali ed economiche che avesse come orizzonte il socialismo rivoluzionario. Ne seguono, però, l’indirizzo per quel che riguarda l’internazionalismo e la ricerca di unità con altre minoranze, e con i gruppi radicali bianchi. Con questa idea, il partito – all’origine un piccolo gruppo – si estenderà in tutti gli Stati uniti, fino a diventare un punto di riferimento per le comunità nere.
Allora, George Morillo non era ancora venuto al mondo. Ed era appena nato nell’ottobre di due anni dopo quando gli atleti neri statunitensi, Tommy Smith (24 anni, del Texas), e John Carlos (23 anni, di Harlem), decidono di dare un segnale al mondo salendo sul podio a piedi nudi e a pugno chiuso, col guanto nero simbolo del Black Power. Sei mesi prima è stato ammazzato Martin Luther King. George non può ricordare direttamente, ma dice di «essere stato adottato dalle Pantere nere» e mostra il tatuaggio che le rappresenta inciso sull’avambraccio.
Prima del dibattito, lo abbiamo guardato dipingere. E all’improvviso, la galleria del centro sociale diventa una pista del Parkour, un frammento dei ghetti neri attraversati dallo skateboard e dalla musica, di rabbia e di sogni. Diventa, anche, una mostra d’arte vivente e una scuola di quartiere. Fin dall’inizio, il Black Panther party ha messo al centro del suo programma l’educazione popolare. Sen One ci racconta che, come esponente del Collettivo delle Pantere Nere ha insegnato per diverso tempo l’arte di strada ai ragazzini del Bronx, di età compresa tra i 9 e i 15 anni: «L’autodifesa – dice – comincia con il prendere coscienza delle proprie potenzialità».
Com’è cominciata la sua avventura artistica?
Sono nato in un quartiere povero di New York, un posto duro per crescere quando non hai niente. Ho cominciato facendo hip hop insieme alle gang negli anni ’80, l’epoca doro della cultura hip hop. Ho fatto parte del gruppo Ibm, Incredible Bombing Masters, pionieri nello stile dei graffiti. Con un «bombardamento» di stili diversi sovrapposti e un tocco astratto abbiamo cominciato a disegnare sui treni. Abbiamo disegnato sui campi di pallamano nel cortile della scuola. Ci siamo appropriati dello spazio di una scuola allo sbando. Abbiamo imparato gli uni dagli altri e da chi aveva capito prima di noi. Abbiamo sviluppato uno stile e messo insieme tanti talenti artistici. Eravamo una squadra, il gruppo della Upper West Side. Siamo stati l’ultima generazione di writer che ha potuto «bombardare» con la propria creatività i vagoni della metropolitana, scrivere la nostra leggenda. Poi sono arrivati il crack, la coca, la droga ha distrutto tutto. Il governo ha cominciato a dare la caccia agli spacciatori, molti sono finiti in carcere, altri sono morti. Ero sempre in fuga. Acuni di noi si sono salvati facendo graffiti. Io ho visto tutto questo, ne sono stato dentro e poi sono cambiato incontrando la politica.
E come?
Un giorno ho visto dei ragazzi che vendevano il giornale del Black Panther Party: le Pantere nere non c’erano più, ma era rimasto il giornale e un collettivo che si richiamava ai principi originari del gruppo. Mi sono unito a loro. Allora c’era il sindaco Rudolph Giuliani, quello della «tolleranza zero». A partire dal ’94, per due mandati, ha scatenato una guerra contro i poveri che occupavano le case, contro i senza fissa dimora, la polizia aveva il permesso di uccidere. Siamo andati ad Harlem a fare dei video seguendo le pattuglie della polizia, come il Black Panter delle origini. Abbiamo formato dei giovani che poi hanno deciso di andare per conto loro. Ora mi dò da fare anche per la liberazione dei prigionieri politici. Siamo riusciti a tirar fuori Sekou Odinga, ma dentro ne restano ancora una dozzina.
La polizia, negli Usa, continua a uccidere i neri anche con Obama alla presidenza. Qual è la reazione della comunità? E’ vero che un gruppo di giovani ha ripreso a fare le ronde richiamandosi al Black Panther Party?
Obama è un pezzo del sistema. La destra bianca lo odia, ma piace ancora a gran parte dei neri che lo hanno votato. Per noi, invece, è roba vecchia, buona per trafficare con la Cia e fare il solito gioco delle parti. Purtroppo, a causa delle droghe, i giovani delle comunità sono un po’ sconnessi, non conoscono molto delle Black Panther. Quelli che si richiamano al Bpp non sono autentici. Il gruppo è stato fondato da un membro della nazione islamica, figuriamoci: per noi la religione è l’oppio dei popoli… Io preferisco il movimento di Occupy. Mi piace quello che fanno in America latina. Mi piace il Venezuela socialista. Non appartengo a nessun partito. Faccio politica con la mia arte. Sono stato adottato dalle Black Panter, rimarrò sempre una pantera.
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