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George Lucas e la «Forza» del franchise

George Lucas e la «Forza» del franchise

Box office Arte e intrattenimento vanno a braccetto. I sorprendenti risultati del box office americano nel 2015

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 5 gennaio 2016

«L’anno in cui gli studios l’hanno azzeccata». È il titolo di un pezzo/conversazione tra i critici del «New York Times» Manohla Dargis e A.O. Scott, uscito sul giornale di domenica. Nel rituale bilancio di fine stagione, i due notavano che nel 2015 le spinte opposte di arte e intrattenimento popolare (l’irripetibile, magico, tutt’uno della Golden era dello Studio-system) sono finalmente tornate a confluire sui grandi schermi. Per una volta, si felicitano Dargis e Scott, le cifre al botteghino e le recensioni hanno trovato parecchi punti di accordo.

I sintomi di questa rara armonia – che accantona almeno per un attimo la frusta opposizione tra il cinema hollywoodiano e quello «di qualità», indipendente- si chiamano, tra gli altri, Mad Max: Fury Road, Trainwreck (di Judd Apatow), Straight Outta Compton (il film di Gary Gray sulla band rap NWA), Creed (il ritorno di Rocky, a cura del regista afroamericano Ryan Coogler), Inside Out, Il viaggio di Arlo (entrambi Pixar), Furious 7, Hunger Games: la ragazza di fuoco e, ovviamente, Star Wars, «la forza» che sta catapultando il box office verso record storici e il presagio di un destino (del cinema) migliore per tutti. In barba alla moda delle serie tv.

Nell’ottica di questo pensiero, è ancora più interessante leggere le dichiarazioni che George Lucas ha rilasciato in una lunga conversazione con il conduttore televisivo Charlie Rose. Nell’intervista, andata in onda il giorno di Natale, il creatore di Guerre Stellari si è nettamente dissociato dal nuovo film: «Hanno voluto fare un film ’retro’. E a me non piace. Ho lavorato molto duramente perché ognuno dei capitoli precedenti fosse diverso dall’altro – pianeti diversi, astronavi diverse.. Che ognuno fosse nuovo». Invece, secondo lui, per Il risveglio della forza, «hanno guardato i primi tre film e deciso che volevano fare qualcosa per i fan».

Lucas ha anche detto a Rose che, prima di vendere alla Disney la proprietà di Star Wars, aveva già cominciato a scrivere una nuova puntata, «ma lo studio non era favorevole alla mia partecipazione». E, nella porzione di intervista che deve aver definitivamente mandato di traverso il panettone agli executive Disney, a JJ. Abrams e alla produttrice Kathleen Kennedy, il regista ha paragonato (scherzando) la vendita dei diritti della saga all’aver affidato «i suoi bambini» a «degli schiavisti bianchi». Con un breve comunicato, il giorno dopo, Lucas ha preso le distanze dall’«infelice» analogia e dal suo momento di candore, congratulandosi con la Disney «in particolare per il successo record» e dicendosi molto orgoglioso di Abrams e Kennedy. Dopo tutto la vendita gli ha fruttato quattro miliardi…Ma gli unici apprezzamenti che ha voluto offrire, nelle scuse di prammatica, erano dirette alla strategia finanziaria. Quattro miliardi o no, la sua frustrazione è comprensibile.

La dialettica tra l’espressione di un gesto artistico e il meccanismo della macchina è da sempre la cifra di lettura del cinema hollywoodiano. Il risveglio della forza è un film intelligente e ben fatto, ma la cui unica proiezione verso il futuro sta nel proteggere il valore della franchise da eventuali scossoni, proprio come quelli che Lucas provocò nel 1977.

Anche i sequel, remake e rilanci di proprietà molto «importanti» possono essere dei lavori originali, creativi, di rottura. Basta pensare alla dimensione visionaria, quasi da cinema astratto, che George Miller ha dato al suo quarto Mad Max, Fury Road o all’energia, alla grazia e alla freschezza con cui un regista giovanissimo e al suo primo film per una Major (la WB, che ha prodotto anche Mad Max), ha fatto suo il corpo mitico di Rocky Balboa. In effetti, il 2015 è stato un ottimo anno di cinema da Studios.

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