Cultura

Geopolitica del cristianesimo. Tra crisi e riforme possibili

Geopolitica del cristianesimo. Tra crisi e riforme possibiliAndrea Riccardi

INDAGINI L’analisi proposta da Andrea Riccardi in La Chiesa brucia (Laterza) non è però priva di ombre

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 12 gennaio 2022

Le fiamme che la notte del 15 aprile 2019 hanno avvolto la cattedrale di Notre-Dame a Parigi hanno semidistrutto una chiesa. Sono anche la prefigurazione della prossima fine della Chiesa cattolica romana?

È LA DOMANDA che attraversa le pagine dell’ultimo libro dello storico Andrea Riccardi (La Chiesa brucia. Crisi e futuro del cristianesimo, Laterza, pp. 248, euro 20) il quale, pur partendo da un dato personale di fede – è fondatore della Comunità di sant’Egidio -, analizza in profondità la crisi della Chiesa e ammette: «parlare di stato terminale o di forte crisi non è segno d’incredulità o di pessimismo, ma equivale a prendere in considerazione un’ipotesi interpretativa della realtà».

La crisi è globale, ma il fuoco è l’Europa, e le risposte sono diverse. Nella «laica» Francia c’è chi, come il politologo Jerôme Forquet, stima che nel 2048 verrà celebrato l’ultimo battesimo. In Italia e Spagna si fanno i conti, ormai da tempo, con la fine del «regime di cristianità». In Germania, per affrontare la crisi, si tenta la «via sinodale», che si configura come «alternativa progressista» al Bergoglio-pensiero, che non ama «riforme puramente strutturali». Nei Paesi ex comunisti dell’est invece, dopo la sbornia capitalistica, l’uscita dalla crisi indicata da Orbán, Kaczynski & co. – cosa che i nostri Meloni e Salvini vorrebbero ma non riescono – è a destra, con il «nazional-cattolicesimo», che si pensava morto con Mussolini, Franco e Salazar e che invece è tornato di grande attualità, anche a causa del deterioramento o della scomparsa delle varie Democrazie cristiane, «partiti nazionali ma non nazionalisti».

È sulle cause della crisi che l’analisi di Riccardi pare più discutibile, dal momento che egli la riconduce in buona parte al mix Sessantotto-Concilio Vaticano II (e la sua ricezione nel post Concilio). Il primo ha visto il trionfo della «rivoluzione individualista», l’affermazione dell’io e il disconoscimento del padre e dell’autorità, anche ecclesiastica. Il secondo è stato una sorta di riformismo illuminato senza popolo: «tale visione, in perfetta buona fede, intendeva elevare e purificare la fede del popolo», che però «veniva scarsamente considerato come attore del processo», mentre «è un attore principale».

IL «PAPATO CARISMATICO» di Giovanni Paolo II ha in parte arrestato il «declino». Anche se Riccardi mantiene opportunamente aperta la domanda: Wojtyla ha fermato oppure solo «coperto» la crisi? Nonostante il ritratto apologetico del papa polacco, Riccardi ammette che la storia è «complessa» e ritiene che Giovanni Paolo II sia stato vittima della Curia e, in un certo senso, di se stesso: il Giubileo del 2000 era la sua «proposta di autoriforma della Chiesa», che però «la macchina degli eventi», propiziata dallo stesso Wojtyla, «ha messo in secondo piano». Il risultato è che «non si è realizzata, per lo stato di salute del papa, ma anche perché non considerata dalle strutture della Chiesa».

Nel Novecento – chiuso proprio da Giovanni Paolo II – il dibattito ruotava attorno a due posizioni: chi riteneva «un errore cambiare in un mondo che cambia» e chi invece credeva necessario «riformarsi in profondità». Oggi, nel «tempo globale» in cui non c’è più il nemico comunista – che per la Chiesa costituiva comunque un punto di riferimento -, è tutto più complesso, e la Chiesa sembra non avere più gli strumenti di analisi per comprendere il presente e immaginare il futuro. La scelta, e l’errore, sembra essere una sorta di «presentismo»: «risolvere le difficoltà, riempire i vuoti, tenere aperte chiese e attività». Senza però affrontare la crisi, semmai gestendo il declino.

E FRANCESCO? Per lui le riforme strutturali non sono la soluzione: Riccardi ha la lucidità di ammetterlo, a differenza di altri acritici cantori, anche laici, del pontefice «rivoluzionario». La via additata dal papa è la «profezia evangelica» – ben diversa dal «progressismo cattolico» – che rilancia la «Chiesa dei poveri», ma che necessita di tempi lunghi. E, aggiungiamo, in assenza di quelle riforme che Bergoglio non vuole, con la possibilità che a Francesco non segua un Francesco II ma un Pio XIII, che riporti indietro le lancette della storia della Chiesa.

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