Genova 2001, canzoni e musica per una memoria collettiva
Mappe Combat folk, indie, ska e punk, paesaggi sonori cantautoriali e di conflitto. Sono finora più di cento i brani sul G8, una trama di lotta, parole e suoni fra vissuto e storia orale
Mappe Combat folk, indie, ska e punk, paesaggi sonori cantautoriali e di conflitto. Sono finora più di cento i brani sul G8, una trama di lotta, parole e suoni fra vissuto e storia orale
«Chiamami se ti ricordi i lacrimogeni e la mia maglietta» canta la band Esterina in Genova quel ragazzo, uscita a febbraio nell’album Musica di provincia. Con un testo imperniato sul campo semantico della memoria, in cui l’imperativo «ricordalo» fa da anafora a tutti i versi, è l’ultima di una lunga serie di canzoni dedicate agli eventi del G8 2001 e diventate sin dalle settimane immediatamente seguenti occasioni di riflessione collettiva su quei quattro giorni di luglio, che pur dati in pasto allo sguardo pubblico — era l’alba della viralità — hanno faticato non poco a trovare spazio nel discorso storiografico, in «un complesso processo memoriale che forse deriva dalla difficoltà di dare un senso a quanto accaduto, tra lotta, resistenza e repressione». Così scrive Gabriele Proglio nel libro I fatti di Genova: una storia orale del G8 (2021), nella cui prefazione Alessandro Portelli argomenta che mentre «le foto e i video tendono a guardare fuori di sé» la memoria e il racconto «cominciano da dentro, e da lì continuano a svolgersi come evento ricordato».
PROPRIETÀ che avvicinano alle fonti orali quelle artistiche, letterarie, cinematografiche e musicali. Il tema in questione lo conferma: pochi altri momenti della storia contemporanea d’Italia sono stati narrati così frequentemente in forma canzone. Nessun altro, probabilmente.
Rileggendo le oltre cento canzoni dedicate ai fatti di Genova (il sito antiwarsongs.org ne dà un lungo elenco) e inquadrandole in un corpus, si può cogliere un processo memoriale altrettanto complesso, fatto di elaborazione, mediazione e condivisione; pratiche collettive e in quanto tali politiche. È la voce di questa pluralità a trasformare l’evento vissuto in evento ricordato, con tutto il portato di amnesie, reticenze e ansie proprie di ogni narrazione.
La distanza, non solo temporale, consente inoltre di ampliare la visione complessiva dell’oggetto facendo emergere connessioni semantiche tra i vari brani. Se può apparire scontato, ad esempio, che «Genova» sia il termine più ricorrente (nel 45,2% dei testi e nel 18,8% dei titoli censiti) una prospettiva più ampia permette di leggerlo come primo segno di un ricordo giocato su un piano spaziale più che temporale. Genova chiama (Casa del Vento), Genova tace (Lineaviola), Genova brucia (Simone Cristicchi); Franco Trincale la descrive «barricata, devastata, infiammata, lacrimata, rastrellata, pestata»; per Brian Allan, vent’anni dopo, «Genova è una città deserta che ha perso una battaglia». Agli spazi e alla loro percezione si riferiscono tante altre parole chiave — «mondo, piazza, sole, sangue, visto, occhi, nero» — e un nome che li percorre: Carlo.
Dall’analisi testuale si rilevano inoltre dimensioni, densità lessicali, leggibilità (un indice fondato su lunghezza media delle frasi e numero di termini complessi). Si può cantare Genova con le 957 parole di Lai del ragionare caotico (Lello Voce, 2004) e possono bastare le 32 di Notti cilene, raccontate nello stesso anno da Talco con il vocabolario più denso di tutto il corpus: non una parola ripetuta.
ALLA LEGGIBILITÀ dei versi fa da contrappeso quella musicale, in un bilanciamento spesso ricercato intenzionalmente per evidenziare messaggi poetici e politici, in maniera trasversale rispetto ai generi, tra i quali primeggiano canzone d’autore, combat folk, indie, ska e punk. Più raro che siano rap e trap — linguaggi del presente per eccellenza — a occuparsi della memoria di Genova, con le lodevoli eccezioni di Assalti Frontali (Rotta indipendente, 2004) e Ted Bee/Kento (Vent’anni dopo, 2021). Per ogni genere, un corredo di convenzioni e aspettative da soddisfare.
COSÌ Guccini ambienta la sua Piazza Alimonda (2004) in un paesaggio sonoro tipicamente cantautorale, con chitarre acustiche e armoniche dylaniane a far da sfondo a una voce mediata «naturalisticamente e preponderante nel mix. Classica ballata senza ritornelli, variata per accumulo sonoro fino al break modulante che dirige l’attenzione sull’ultimo verso: «Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita». Facile cogliere assonanze con Stagioni e soprattutto con il ritmo della Locomotiva, segno che nel macrotesto gucciniano i temi di protesta tendono ad assumere specifiche vesti musicali.
Altrettanto leggibili le nuove canzoni d’autore di Simone Cristicchi, il combat folk di Modena City Ramblers e Casa del Vento (per la band aretina quattro brani in due anni dedicati a Genova), il post punk di Massimo Zamboni e Angela Baraldi (Fine, 2013) i cui feedback di chitarra agiscono come significanti sonori della tensione e del conflitto, se non proprio delle sirene di ambulanze e polizia (c’è bisogno di ricordare l’inno americano riscritto da Hendrix?).
Anche per i Linea 77 di Avevate ragione voi (2012) è il sound stesso a esprimere rabbia e memoria collettiva, in una performance che colloca le due voci narranti della band nel bel mezzo del conflitto, tra «barricate, sangue, accecamento, maschere antigas», riprendendo l’aggettivo «indelebile» e affrontando il processo memoriale («Oggi, sono passati 12 anni ormai / ma chi c’è stato non dimenticherà mai») che conduce all’epilogo in prima persona plurale: «Avevamo ragione noi». Un ritornello «coro-genico» — come quelli di WTO (Punkreas) e Hanno ucciso Paperoga (Vallanzaska) — e una coda diegetica con l’infame registrazione dei poliziotti dopo l’uccisione di Giuliani («Speriamo che muoiano tutti. Uno già… 1-0 per noi…»); scelta condivisa dai Modena City Ramblers che aprono La legge giusta con la voce del vicequestore Adriano Lauro («Bastardo l’hai ucciso tu, con il tuo sasso!»).
RICOMPOSTI in un macrotesto, anche simili frammenti possono testimoniare come attraverso l’espressione artistica si possa prendere posizione sugli eventi ed elaborarne la memoria, ricostruendo eventi vissuti e ricordati da diverse prospettive e aiutandoci a dare significato alla loro percezione. In un senso più alto, queste canzoni permettono a chi non c’era di partecipare attraverso la ricezione e la memoria, continuando a coniugare all’imperativo il verbo «ricordare».
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