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Gennaro Serio, tutto ciò che vale lo trattiene l’inchiostro

Gennaro Serio, tutto ciò che vale lo trattiene l’inchiostroFrancesco Gennari, «Il corpo torna alla terra, l’anima torna al cielo (con una macchia di amarena nel cuore)», 2011

Promesse recenti Enrique Vila-Matas è un assassino: questo l’indizio per orientarsi in questo romanzo d'esordio, nel quale le scelte strutturali confermano come l’esperienza della letteratura prevalga su quella della realtà: «Notturno di Gibilterra», da L’orma

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 16 febbraio 2020

Non capita spesso di imbattersi in un esordio di qualità sorprendente e per certi versi disarmante se riferito ad un autore che ha appena trent’anni eppure mostra una fisionomia già definita e, nel frattempo, una completa padronanza dei propri mezzi linguistico-stilistici: il romanzo di Gennaro Serio, Notturno di Gibilterra (L’orma editore,«I Trabucchi», pp. 258, € 18,00), può infatti essere letto come un esercizio di stile, in sé esclusivo e temerario, il cui scopo consista nell’alludere alla non-innocenza e alla natura del tutto artificiale della letteratura nel tempo che pare invocarne, viceversa, la spontaneità e un candore redivivo, quasi si trattasse di una uscita di sicurezza dalla impervia complessità del mondo reale.

Per parte sua, Serio muove dallo stato di saturazione che fu detto postmoderno e dunque dalla persuasione che nulla è possibile scrivere se non ricorrendo al già scritto, ora nei termini della parodia ora in quelli di un critico ri-uso delle fonti. C’è da immaginare che, in quest’ottica, una propria parola non possa essere rivendicata né dedotta da alcuna «realtà» pre-esistente ma, semmai, debba essere estratta dall’archivio gigantesco che il tempo ha già trasformato, per l’appunto, in «parola»: in talune circostanze (ed è il caso di Serio) questo non significa diventare parassita di una qualche tradizione o, tanto meno, appagarsi di sconciarla ma vuol dire che è vietato, una volta per sempre, utilizzare il segno scritto secondo lo schema canonico che disgiunge il significante/significato dal referente.

Fra la Catalogna e Gibilterra
E che la esperienza della letteratura possa anticipare l’esperienza della realtà e anzi presentarsi essa stessa come la realtà tout court, lo provano, quanto a questo romanzo, alcune scelte strutturali: il traliccio narrativo che simula un viaggio erratico, la ricerca di un sordido Graal al passo di un libro giallo perfettamente deragliato; la natura di due portavoce speculari e infatti fratelli, uno spiccio detective che si misura con i «fatti» o comunque con gli spezzoni di una realtà ancora tridimensionale, e invece una virago della medicina legale nel cui istinto ferino, malvagio, è iscritta ogni più sofisticata astuzia letteraria; infine l’assassino da inseguire, la casella vuota e insieme il vettore del romanzo, l’omicida probabilmente complice della suddetta virago (che potremmo anche ricordare quale Madame Littérature sotto mentite spoglie) uno spagnolo di mezza età, atticciato e scarsocrinito, scrittore di professione il cui nome corrisponde, nientemeno, a quello di «Enrique Vila-Matas». (Neanche vale ricordarlo, costui è il grande romanziere catalano, celebrato emblema di una letteratura che rigetta la «realtà» sentendola alla stregua di una mistificazione, di un ricatto, e va direttamente alla pagina ficta, costruita, come si trattasse di una seconda e più autentica natura).

Colui che viene detto Vila-Matas dunque non è mai presente e però mobilita i propri inseguitori, inducendoli a riempire volta a volta la casella vuota che gli corrisponde e pertanto a rimpallarsi il duplice diario dell’inchiesta che diviene via via un romanzo epistolare. La ricerca dell’assassino Vila-Matas (il quale ha fisicamente eliminato un suo giovane intervistatore, così togliendo per sempre la parola a chi gliela chiedeva), insomma il suo inseguimento è pressoché ubiquitario, spazio e tempo si alternano e rincorrono intorno a un epicentro situabile fra la Catalogna e Gibilterra mentre i set rispettivi sfilano alle spalle dei detective con la rapidità, la leggerezza volitante, che un tempo era propria dei trasparenti cinematografici.

Citazionista, con giusta misura
Vasta è la gamma delle citazioni così come delle vere e proprie incorporazioni dai classici della letteratura modernista o post-, da Borges a Simenon, da Chesterton e Joyce a Osvaldo Soriano e decine di altri: va qui ricordato tuttavia che Serio ormeggia i suoi autori con grande misura e senza scadere mai nel grottesco o nel comico involontario, come invece è di regola per quanti pensano (nella sua generazione sono molti, quasi tutti) che la sola realtà di uno scrittore oggi possa essere la letteratura. È probabile, al riguardo, che l’assassino Vila-Matas si sia sbarazzato dell’intervistatore in carne e ossa come ci si libera di una realtà invadente e importuna ma è certo che, paradossalmente, egli ha immortalato la sua vittima, se a un certo punto del romanzo si esclama, ed è la massima maledizione: «Non merita il mondo di essere trattenuto dall’inchiostro», vale a dire che non merita di vivere la vera vita che è soltanto la vita messa per iscritto. Condivisibile o meno, è proprio un simile a priori, rispettato fino in fondo, che legittima lo spettacolare virtuosismo stilistico di cui dà prova Serio in una pagina che è in tutto simile, per le continue diversioni e i décalages, a una panoplia. Questo, al momento, può essere il suo limite ma, insieme, è il suo punto d’onore.

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