Scuola

Genitori «proprietari» target della riforma Renzi

Sbilanciamo l'Europa La «libertà» di cui parla il premier significa la progressiva trasformazione della scuola in un servizio a domanda individuale

Pubblicato più di 9 anni faEdizione del 8 maggio 2015

Nella prima risposta alla proclamazione dello sciopero della scuola, in cui ha difeso senza se e senza ma il disegno di legge del Governo, il premier Renzi ha ammonito gli insegnanti a ricordarsi che la scuola non è solo loro ma anche degli studenti e dei genitori.

Non so che effetto gli ha fatto vedere le migliaia di studenti che hanno manifestato in tutta Italia, e i genitori, spesso con i bambini più piccoli per mano, che hanno aperto i cortei di molte scuole. Certamente non tutti.
Perché sono tanti quelli che hanno una idea proprietaria dei loro figli, e un atteggiamento antagonistico verso la scuola, che per essere troppo inclusiva, troppo di tutti, priverebbe i loro figli delle attenzioni di cui hanno bisogno. E vedono male gli «zingari» a scuola, e i «negri», e sempre più spesso anche i portatori d’handicap. E non partecipano agli organi collegiali, e a scuola ci vanno come avvocati dei loro figli, spesso contro i figli degli altri.

Un po’ di tempo fa Paolino Pulici, il mitico «puliciclone» del Torino dello scudetto che oggi allena ragazzini, parlando dell’atteggiamento dei genitori che hanno investito costi quel che costi sul futuro da campioni dei loro figli, disse cha il suo sogno era di «allenare una squadra di orfani». Un sogno sempre più condiviso da tante e tanti insegnanti oppressi da genitori ossessionati dalla voglia di veder primeggiare i loro figli.
Questo tipo di genitore è da sempre il target di riferimento della destra contro la scuola pubblica. Lo è stato dei repubblicani contro Obama, è stato un chiodo fisso della Moratti e della Gelmini.

Fa un po’ impressione sentirlo evocare dal premier del Pd, che ne fa uno dei punti cardine della sua «rivoluzione» scolastica.

Visto che le risorse pubbliche, è sempre il premier a dirlo, non potranno coprire tutti i costi delle scuole dell’autonomia, si apre ai finanziamenti privati col bonus fiscale e col 5 per mille, da versare alle singole scuole. Soldi probabili per le scuole bene, molto improbabili per quelle in cui vanno i figli della povera gente.

La disuguaglianza, e la dispersione scolastica che ne consegue, che è il problema più grosso della scuola italiana e che nel disegno di legge non è minimamente affrontato, crescerà, ma questo non è un problema se scegli di lisciare il pelo al familismo amorale e di cercarne il consenso.

Ed è dentro questa cornice che si collocano le stesse agevolazioni fiscali per chi manda i propri figli alle private. La scuola della libertà non è più quella che, secondo Costituzione, deve dare a tutti gli strumenti per essere liberi, ma quella in cui i genitori «liberano» se stessi e i loro figli dalla solidarietà verso i più deboli.

La «libertà» è la progressiva trasformazione della scuola in un servizio a domanda individuale, del resto coerente con la strisciante trasformazione di diritti in voucher, leggibile nel progetto di riforma del Terzo Settore.
In piazza c’erano i genitori che agli organi collegiali ci vanno e che si sentono solidali con la buona scuola reale che fa dell’inclusione, della capacità di leggere anche le domande silenziose delle famiglie più povere, la propria ragion d’essere. E che si sarebbero aspettate una riforma degli organi collegiali capace di rigenerare il patto tra insegnanti, studenti, famiglie e territorio, che è alla base della scuola dell’autonomia. Altro che il dirigente capo azienda. Ma la riforma degli organi collegiali sarà, perlomeno secondo il disegno di legge arrivato in Parlamento, un decreto delegato, che né loro né il Parlamento potranno più discutere.

Che poi questa è l’assurdità più grande del disegno di legge approdato in Parlamento.

Le cose più importanti per fare una buona scuola davvero o non ci sono, come l’educazione degli adulti e il contrasto alla dispersione scolastica, o sono affidate a decreti delegati che saranno scritti da quegli stessi che hanno scritto le mostruosità su cui lo stesso governo sta facendo marcia indietro per effetto delle mobilitazioni dei sindacati e del lavoro di «riduzione del danno» in corso nella Commissione cultura della Camera.

Ma di riduzione del danno si tratta, mentre la scuola avrebbe davvero bisogno di cambiamenti veri e profondi, magari a partire dalle tante esperienze di buona scuola reale presenti nel nostro Paese.

Non si sa ancora quanti dei tredici decreti delegati previsti dal disegno di legge saranno cassati e restituiti ad un normale iter legislativo. Sarebbe auspicabile tutti. Ci sono in essi questioni decisive per il futuro della scuola. Dalla riforma degli organi collegiali al reclutamento e alla formazione degli insegnanti e al rapporto tra scuola e Università, al diritto allo studio, allo Statuto degli studenti in alternanza e ai requisiti che devono avere le imprese e le altre realtà che li ospitano, alle azioni necessarie per rendere effettiva l’autonomia scolastica. Su ciascuno di questi temi i sindacati, le associazioni degli insegnanti e degli studenti hanno elaborato idee e proposte. Alcune erano scritte sui cartelli che hanno portato in piazza. Occorre ora raccoglierle e farne un progetto coerente. Sulla scuola non è più tempo di agire di rimessa rispetto alle proposte del governo. La sinistra che a vario titolo siede in Parlamento e che è stata in piazza coi lavoratori della scuola ha il compito importante di elaborare su ciascuno di questi temi proprie proposte da sottoporre al mondo della scuola e al dibattito parlamentare.

Coerenti col dettato costituzionale che vuole la scuola laica, democratica, inclusiva. Di tutti e di ciascuno. Una scuola che non insegni ad adattarsi al mondo così com’è ma tenga viva la voglia di cambiarlo.

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