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Gemelli diversi a palazzo Chigi

Gemelli diversi a palazzo ChigiAngelino Alfano e Enrico Letta

Governo Tra premier e vicepremier vertice lungo tre ore su Berlusconi. Ma al termine «le posizioni restano distanti»

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 22 agosto 2013

La missione per conto del Capo comincia ufficialmente alle sei del pomeriggio di ieri, ora dell’incontro con Enrico Letta a palazzo Chigi: Angelino Alfano ha una settimana di tempo o poco più per convincere gli alleati del Pd a salvare il condannato Silvio dalla decadenza da sentore (a evitargli il «plotone di esecuzione», è la formula adesso in uso in casa Pdl), pena la caduta rovinosa del governo.

Ma dopo le prime tre ore di confronto tra i numero uno e il numero due del governo, anch’esso molto preoccupato per la piega che la vicenda sta prendendo, si registra la prima fumata nera. Con Letta fermo sulla posizione concordata l’altro giorno con il segretario del Pd Guglielmo Epifani (nessuna ciambella di salvataggio: nella giunta del senato il Partito democratico deciderà sulla base di criteri giuridici e non politici, è la versione che esce a tarda sera da palazzo Chigi) e Alfano costretto a spiegare che se il leader sarà messo alla porta di palazzo Madama senza nemmeno prendere in considerazione «approfondimenti giuridici» sull’eventuale non retroattività della legge Severino, il Pdl non potrà far altro che levare le tende.

Il presidente del consiglio si prepara al summit con il suo vice (presente il ministro per i rapporti con il parlamento Dario Franceschini, rimasto invece fuori dalla porta il falco Renato Brunetta), rispondendo all’ultimatum del Cavaliere con nuovi appelli lanciati da Vienna. Ribadendo, come fatto l’altro ieri, che chi dovesse staccare la spina al governo se ne assumerebbe la responsabilità. Non si risparmia, Letta: invita a non rovinare tutto, ora che l’Italia, dopo tanti sacrifici, avrebbe «messo i conti a posto» e addirittura si «vede la terra promessa». Parla di difficoltà «superabili», basta non «avvitarsi su questioni di politica interna». Nel frattempo i ministri e i tecnici del governo si tuffano a capofitto sull’agenda economica.

Ma gli appelli del premier alla «lungimiranza» non trovano terreno fertile tra quei pidiellini che non vedono altra terra oltre l’orizzonte di Arcore e non riconoscono altro capo all’infuori di Silvio: «Per noi lui è stato l’inizio e sarà la fine, è stato l’alba e, se così sarà, staremo con lui fino al tramonto», è già pronta al sacrificio Michaela Biancofiore. Più articolato – in attesa dell’esito del vertice a palazzo Chigi – Fabrizio Cicchitto: «Il sottoscritto ritiene che questo governo sia una sorta di ultima spiaggia perché la sua caduta esprimerebbe un fallimento sia del Pd che del Pdl tale da incentivare la vittoria del Movimento 5Stelle»; ma «tutto il Pdl, al di là della sua dialettica politica, si suiciderebbe se assistesse inerte alla totale eliminazione dalla scena di Berlusconi». Insomma, la speranza è che qualcuno – il Pd – si inventi il modo per evitare il peggio.

Del resto si racconta di un Berlusconi ormai determinatissimo: o gli sarà chiaramente garantita «agibilità politica» (il Pd dovrebbe cioè cedere ufficialmente al ricatto prima della riunione della giunta di palazzo Madama fissata per il 9 settembre) oppure il leader di Arcore – eventualmente con una videodichiarazione di guerra – chiamerà i suoi alle armi, puntando dritto alle elezioni. Le prossime mosse dovrebbe essere discusse domani in un vertice a Arcore. Ma non si illuda Letta, si ripete nel Pdl: non troverà colombe pronte a restargli accanto, se il capo deciderà per lo showdown. Stesso discorso lo fanno i 5 Stelle: il Pd non si illuda di spaccarci, avverte il vicepresidente della camera Luigi Di Maio, commentando l’intervista alla deputata democratica Alessandra Moretti, che su Repubblica ieri parlava di 30 senatori grillini su 50 pronti a partecipare a una nuova maggioranza.
In fermento, poi, anche i renziani, diversi dei quali impegnati ieri a seminare dubbi rispetto ai provvedimenti sulla politica economica, dalla service tax che dovrebbe sostituire l’Imu, al piano di investimenti del governo per attrarre investitori stranieri che «può diventare un flop».

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