Gaza, un morto e 700 feriti in attesa delle manifestazioni del “ritorno”
Nakba Previsti raduni di massa, non solo a Gaza, per l'anniversario della "catastrofe" e contro il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ieri, nella Marcia del Ritorno, un altro palestinese è stato ucciso dall'esercito israeliano
Nakba Previsti raduni di massa, non solo a Gaza, per l'anniversario della "catastrofe" e contro il trasferimento dell'ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme. Ieri, nella Marcia del Ritorno, un altro palestinese è stato ucciso dall'esercito israeliano
Il venerdì dell'”ammonimento”, settimo raduno della “Grande Marcia del Ritorno” nella fascia orientale di Gaza, è stato una sorta di passaggio verso le grandi manifestazioni annunciate per il 14 e il 15 maggio, quando, decine migliaia di palestinesi protesteranno per il trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv e Gerusalemme e commemoreranno la Nakba. Ma è stato ugualmente insaguinato. Un palestinese, Jaber Abu Mustafa, 40 anni, è stato ucciso ad Est di Khan Yunis da un proiettile all’addome sparato dai cecchini dell’esercito israeliano schierati lungo la barriera di demarcazione. Un altro palestinese, colpito nei pressi di Jabaliya e dato per morto in un primo momento, ieri sera era ancora vivo ma in condizioni disperate. I feriti sono stati almeno 700. Dal 30 marzo, giorno d’inizio della Marcia contro il blocco di Gaza e per il ritorno dei profughi ai villaggi d’origine, i tiratori scelti israeliani hanno ucciso oltre cinquanta palestinesi. Migliaia sono rimasti feriti, non pochi tra questi hanno subito amputazioni di arti.
I prossimi giorni saranno caldissimi. Se Israele prepara cerimonie solenni, alla presenza della figlia del presidente Usa, Ivanka Trump, del marito e inviato in Medio Oriente Jared Kushner e di altre centinaia di rappresentanti americani, per celebrare il passaggio, lunedì pomeriggio, dell’ambasciata degli Stati Uniti da Tel Aviv a Gerusalemme, i palestinesi appaiono decisi a far sentire la loro protesta. Non solo a Gaza ma anche a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Le manifestazioni cadono nell’anniversario della Nakba, la “catastrofe”, quando centinaia di migliaia di palestinesi prima e subito dopo la proclamazione di Israele, fatta da David Ben Gurion il 14 maggio 1948, furono cacciati via dalle milizie del nuovo Stato o costretti a fuggire da città e villaggi diventando profughi. E da 70 anni attendono che sia attuato il loro diritto al ”ritorno” nella terra d’origine sancito dalla risoluzione 194 delle Nazioni Unite ma categoricamente escluso da Israele.
A quel “ritorno” faranno riferimento le manifestazioni del 14 e 15 maggio, che si annunciano imponenti nella fascia orientale di Gaza (100mila persone in 17 accampamenti contro i cinque attuali). La tensione è alta. Come è avvenuto nelle ultime settimane, l’esercito israeliano ha inviato rinforzi e dato ai soldati l’ordine di usare tutta la forza necessaria per impedire ai palestinesi di oltrepassare le linee di demarcazione. Non è chiaro se i manifestanti lo faranno. Due giorni fa il leader del movimento islamico Hamas a Gaza, Yahya Sinwar, parlando a un gruppo di giornalisti, ha chiesto ai palestinesi di oltrepassare “pacificamente” le linee di separazione con Israele, avvisando allo stesso tempo che le dimostrazioni potrebbero sfuggire al controllo delle autorità. «La Striscia di Gaza è come una tigre affamata che è stata messa in una gabbia per 11 anni – ha spiegato Sinwar – La tigre è stata liberata e nessuno sa cosa farà». Punta sulla diplomazia l’Autorità nazionale palestinese, impegnata a tamponare l’effetto domino innescato dal riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele fatto il 6 dicembre da Donald Trump. Altri due Paesi, Guatemala e Paraguay, trasferiranno la loro ambasciata a Gerusalemme entro fine maggio
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