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Gaza, 13 uccisi dai raid aerei israeliani

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Striscia di Gaza Al bilancio vanno aggiunti anche i quattro palestinesi, presunti collaborazionisti, giustiziati da Hamas a Jabaliya. Abu Mazen lancia appelli alla ripresa del negoziato al Cairo ma tra Israele e il movimento islamico è ancora "guerra di attrito"

Pubblicato circa 10 anni faEdizione del 24 agosto 2014

Quanto è lontano il Cairo da Gaza. E come appaiono distanti alla popolazione di Gaza gli appelli alla ripresa di colloqui e negoziati sul cessate il fuoco lanciati ieri dalla capitale egiziana dal presidente dell’Anp Abu Mazen. La “guerra di attrito”, di “logoramento”, come la chiamano da queste parti, cominciata martedì scorso dopo il fallimento della tregua, ha già fatto molte decine di morti tra i palestinesi: ieri altre due famiglie sono state decimate da raid aerei israeliani, Dahrouij (5 morti) e Abu Dahdouh (4 morti), tra i quali un bimbo di 4 anni, Abdullah. In totale dall’8 luglio i morti palestinesi sono 2.105. L’altra sera è giunta anche la quarta vittima civile israeliana, un bambino di quattro anni. L’obiettivo israeliano è stato chiarito e ribadito ieri dal ministro della difesa Moshe Yaalon, che si è rivolto agli abitanti delle cittadine a ridosso di Gaza quasi vuote a causa dei lanci di razzi palestinesi (82 solo ieri). «Il fine – ha detto – è quello di portare Hamas al (possibile) tavolo delle trattative al Cairo sulla base dei termini che deciderà Israele e di un cessate il fuoco (senza condizioni) come chiede Gerusalemme». E per raggiungere questo risultato la pressione di Israele sulla popolazione di Gaza sta crescendo con il passare delle ore.

 

Non siamo ai livelli di bombardamento di luglio, non è in corso una offensiva di terra (ma potrebbe scattarne una nuova molto presto), tuttavia le forze aeree israeliane colpiscono ovunque. Talvolta con preavviso, molte altre no. Lo sanno bene i Dahrouij e gli Abu Dahdouh che non hanno avuto alcuna possibilità di mettersi in salvo. E lo sanno le famiglie che vivevano dei 30 appartamenti della Torre Zafer, nei pressi di Tel al Hawa (Gaza city): 13 piani ridotti ad un cumulo di macerie da due missili ad alto potenziale che un F-16 israeliano ha sganciato ieri sera contro l’edificio. A quanto pare il nuovo bersaglio dell’offensiva israeliana è il capoluogo di Gaza, o meglio le zone centrali ed occidentali della città che hanno subito meno attacchi a luglio rispetto ai quartieri orientali, come Shujayea e Zaytun. Sulle aree occidentali, quelle sul mare, ieri sono piovuti volantini sganciati dai droni che avvertivano la popolazione a allontanarsi subito dalle abitazioni civili adiacenti alle aree di lancio dei razzi di Hamas perchè sarebbero diventate obiettivo degli attacchi aerei.

 

Anche la strategia di Hamas punta al logoramento di Israele, sui timori e la stanchezza della sua popolazione. Non tanto di quella parte che vive nella zona di Tel Aviv soggetta ad attacchi sporadici con lanci di razzi. Quanto di quella del sud di Israele che, a causa del conflitto, si è trasferita a casa di amici e parenti nel centro del paese. Contro la strategia del movimento islamico però gioca la frattura che si è riaperta tra Hamas e Fatah nelle ultime settimane. Già nei giorni scorsi era apparsa evidente al tavolo delle trattative del Cairo, con i delegati di Fatah pronti ad accettare la proposta di cessate il fuoco egiziana e quelli di Hamas (e del Fronte popolare per la liberazione della Palestina) nettamente contrari. Abu Mazen vuole che una soluzione negoziata per Gaza passi assolutamente per l’Egitto. Il movimento islamico al contrario è convinto che l’Egitto stia giocando contro le sue richieste e guarda al ruolo del Qatar (suo sponsor) e della Turchia. Si è anche parlato del fallimento della tregua per l’accesa rivalità tra il Qatar e l’Egitto, due attori principali sulla scena palestinese e mediorientale, che guardano con occhi diversi al destino di Gaza.

 

Hamas è impegnato anche su di un fronte interno, quello della lotta ai collaborazionisti veri e presunti di Israele. Dopo le 18 persone messe a morte due giorni fa, ieri altri quattri palestinesi accusati dalla sicurezza di Hamas di lavorare per conto dell’intelligence israeliana, sono stati fucilati nel cortile di una moschea a Jabaliya. Un sito web vicino al movimento islamico ha riferito che i quattro sono stati giustiziati dopo il completamento delle “procedure legali”. Esecuzioni condannate dall’Autorità Nazionale di Abu Mazen. «Quelle fucilazioni sono illegali e al di fuori del sistema giuridico palestinese», ha detto il segretario dell’ufficio di presidenza dell’Anp, Tayyib Abd al Rahim, che poi ha accusato il movimento islamico di aver «represso la dissidenza…sono state esecuzioni a sangue freddo e in base solo alla legge di Hamas. Alcuni degli uccisi, ha detto, erano incarcerati da oltre tre anni».

 

Il confronto militare tra Israele e Hamas e le tensioni interne fanno vacillare la riconciliazione tra il movimento islamico e Fatah (il partito del presidente), raggiunta a fine aprile dopo ben sette anni di divisioni laceranti. Allo stesso tempo Hamas e Fatah, hanno ritrovato un po’ di coesione nazionale firmando la proposta di Abu Mazen per l’adesione dello Stato di Palestina alla Corte penale internazionale. In questo modo i leader palestinesi potranno perseguire legalmente lo Stato di Israele per crimini di guerra.

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