Atlas da Boca è uno spettacolo-performance, un viaggio insolito composto da tanti linguaggi che i protagonisti portano in scena oltre che con i loro corpi, con i sentimenti, l’intimità e le parole per «dirsi» e affermarsi. Prima creazione, selezionata per Aerowaves nel 2023, di Gaya de Medeiros, ballerina, coreografa trans, sul palco insieme ad Ary Zara, nei giorni scorsi in prima nazionale a Bologna al Festival Gender Bender. L’artista di Belo Horizonte, studi di balletto classico, danza contemporanea e teatro all’Università Federale di Minas Gerais, porta in scena l’esplorazione di corpi e identità transgender a partire dalla bocca, l’organo con cui si formulano le parole per autorappresentarsi. Un lavoro che si muove fra erotismo e politica, sensualità e tenerezza, ironia e profondità. Gaya de Medeiros nel 2019 ha deciso di lasciare il paese dopo la vittoria elettorale di Jair Bolsonaro, ora vive e lavora in Portogallo dove ha fondato la piattaforma Braba per aiutare e supportare i progetti creativi degli artisti trans. L’abbiamo incontrata per rivolgerle alcune domande.

Com’è nato «Atlas da Boca» e cosa rappresenta?

Gaya de Medeiros, foto di Rui Soares

L’idea è nata ispirandomi al lavoro di un amico designer che ha realizzato un atlante, un libricino con immagini e parole, in cui giocava a farli uscire di contesto. L’ho trovato interessante e ho voluto fare lo stesso riguardo al mio corpo e a quello di Ary: usare nuove parole per definirci. Quando si fa un’affermazione di genere si cercano altri termini per lo stesso corpo. Prima ne avevo tanti per definire chi ero, ora ne ho di nuovi, un vocabolario diverso, una nuova immagine da condividere, ma allo stesso tempo si tratta ancora di me, dentro sono la stessa persona. Atlas da Boca perché la bocca è il luogo in cui possiamo dire chi siamo, assaggiare il mondo, un’altra persona, gli oggetti, come da bambini. È il primo approccio alla conoscenza delle cose. È una metafora per parlare di questa rinascita, la bocca è una prima porta, un invito a far entrare nel mio mondo, nel mio atlante, nella mia casa, passo dopo passo, faccio conoscere gradualmente le mie stanze, iniziando dal soggiorno, poi via via in cucina, in bagno e in camera da letto. È un invito al pubblico ad entrare nella nostra intimità, non per saperne di più su un corpo trans, ma per incontrare due persone. Non è una questione di genere, sessualità, vagina/pene, si parla anche di spiritualità, perdita. È un modo per mettere contenuti nel corpo di una persona trans spesso vista come un contenitore di stereotipi, è questo che vogliamo decostruire, mettendo nuovi significati, pensieri, sentimenti, memorie, per essere più vicino a chi non è poi così diverso da me. Significa essere riconosciuti come persone, non solo come corpi. Il cinema americano ha rappresentato trans e queer in maniera tragica, attraverso morte e dolore, siamo cresciuti con narrative negative sull’essere trans, vogliamo scriverne delle nuove positive, mostrare le persone trans né più né meno come le altre, solo persone. Soprattutto fare nuovi racconti in prima persona dopo essere state raccontate da altri per anni, parlare di questa intimità con cui ci si possa identificare anche se non trans. I testi mescolano poesia, racconti personali, non è una storia lineare, amo lavorare ai testi seguendo il pensiero, per associazioni.

C’è il rischio che nella definizione ballerina trans si perda di vista l’aspetto artistico e ci si concentri solo sul corpo?

A volte lo si fa per proteggersi, ci si definisce trans per preparare l’audience a quello che vedrà e creare un ambiente sicuro. Se sono una persona trans per me può essere interessante sapere che l’attrice lo è, per conoscere un nuovo modo di esistere nel mondo. Ricordo quando ne vidi una per la prima volta a teatro: ero così felice, era così brava. Non significa venite a vedere un fenomeno, come allo zoo.

Perché ha deciso di lasciare il Brasile dopo l’elezione di Bolsonaro e la vittoria della destra?

È molto triste quando ami un luogo sentire di doverlo lasciare perché non gli appartieni più. Quando i brasiliani hanno scelto Bolsonaro sapevano esattamente cosa pensasse delle persone come me, la mia gente ha voluto che quell’uomo rappresentasse il mio paese, per me è stata un grande vergogna che dicesse cose tremende in giro per il mondo. Ero molto delusa, inoltre attraversavo un momento di cambiamento nella mia vita, mi sono messa in discussione, avevo bisogno di dimostrare a me stessa che potevo essere un’altra persona e fare un nuovo lavoro con gente che non conoscevo. A vent’anni ero ballerina in una compagnia di danza, ho visto i miei sogni diventare realtà, e nove anni dopo ho sentito di dover rischiare, scappando dal mio corpo per cercare un nuovo inizio. Potevo permettere a me stessa di iniziare di nuovo per essere chi volevo essere, ho realizzato di voler essere una donna trans, all’inizio ero molto spaventata, sapevo che in quanto uomo si può avere un cattivo lavoro o famiglia, ma si è comunque un uomo, quando si lascia andare tutto questo, si perde una posizione di privilegio, ma ho capito di avere molte più opzioni. Essere un uomo mi comprimeva in un ruolo che non era il mio, la mia personalità era stretta.

Il suo corpo è politico?

Ogni corpo lo è. Parlo spesso di affermazione di genere perché ogni persona la pratica semplicemente ogni volta che sceglie un vestito o la pettinatura. Ognuno a modo proprio, in ogni dettaglio si definisce come donna o altro, anche questo è politico. Impariamo ogni giorno come esprimere noi stessi attraverso le azioni, gli abiti, e il modo in cui stiamo nella società, è sempre un atto politico, come lo sono i luoghi che attraversiamo, le persone con cui ci relazioniamo, i partner che abbiamo… Con la mia affermazione di genere ho capito che come uomo mi esprimevo soprattutto attraverso la parola. Ora quando sono sul palco parlo con i costumi che indosso, i capelli, il seno, tutto. Ogni cosa che scegliamo rappresenta un modo di essere nella società. La cultura è come l’acqua in un acquario, noi siamo come i pesci: non vediamo l’acqua, ma ci siamo completamente immersi.

Lei ha creato la piattaforma Braba, di cosa si occupa?

Attraverso Braba, che in uno slang giocoso significa coraggioso, cerchiamo di organizzare festival e residenze. È un luogo dove imparare e mostrare i propri lavori. Il mercato dell’arte richiede gente brava, pronta, preparata, non c’è l’opportunità di fare errori, sbagliare. Abbiamo bisogno di uno spazio in cui poterne fare per imparare, prendersi il proprio tempo, praticare insieme per scrivere un progetto, conoscere gli interlocutori giusti. L’obiettivo è dare gli strumenti per esercitarsi e riuscire a proporsi.