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Gasdotto Tap in Puglia, al via il processo per disastro ambientale

Gasdotto Tap in Puglia, al via il processo per disastro ambientale

Sotto accusa i vertici della Trans Adriatic Pipeline. A giudizio anche decine di oppositori. Tra i reati legati alla costruzione del progetto c’è l’espianto di centinaia di ulivi

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 12 settembre 2020

Oggi iniziano a Lecce due processi che in diversa maniera riguardano la società Trans Adriatic Pipeline (Tap Ag) e il controverso gasdotto Tap, uno dei progetti energetici più grandi (e climalteranti) in costruzione nell’Unione europea. Il progetto, costato circa 4,5 miliardi di euro e finalizzato alla vendita sul mercato europeo del gas estratto nel Mar Caspio, in Azerbaigian, è stato contestato fin dal 2011 per l’impatto ambientale e climatico, già evidente in fase di costruzione.

IL PRIMO DEI DUE procedimenti vede sul banco degli imputati proprio la società Tap Ag, con sede in Svizzera e promotrice del gasdotto, di cui è azionista al 20% anche l’italiana Snam. L’accusa formulata dal pubblico ministero di Lecce è di disastro ambientale e riguarda anche diciotto manager della stessa Tap Ag e delle diverse aziende contrattate per l’esecuzione dei lavori. Tap Ag è citata nella persona dell’ingegner Luca Schieppati e dell’avvocato Elisabetta de Michelis, i direttori dotati di potere di rappresentanza della società in Italia. La compagnia sarà difesa dagli avvocati Paola Severino (ex ministro della Giustizia e vice presidente dell’Università Luiss Guido Carli di Roma) e da Francesco Paolo Sisto. Tra gli imputati ci sono inoltre il Country manager di Tap Ag Michele Mario Elia, il project manager per l’Italia Gabriele Paolo Lanza (dipendente di Snam Rete Gas), e Marco Paoluzzi di Technip Italy, direttore dei lavori per conto della società controllata dal gruppo TechnipFmc.

GLI ILLECITI SU CUI VERTERÀ il processo comprendono reati ambientali commessi tra il novembre 2016 e il luglio 2019, legati alla costruzione del progetto e all’espianto degli ulivi in località “Le Paesane”, dove la Procura ha messo sotto sequestro l’area di cantiere ad aprile 2018, poi dissequestrandola una volta chiuse le indagini nel 2019. Secondo il pubblico ministero, i lavori di preparazione, di costruzione del terminal di ricezione (Prt), del micro-tunnel e di posa dei tubi sarebbero avvenuti in assenza di permessi validi.

L’AUTORIZZAZIONE di impatto ambientale rilasciata nel 2014 e l’autorizzazione unica del 2015 non sarebbero valide in quanto non terrebbero conto degli impatti cumulativi del progetto. La Procura ritiene non siano valide nemmeno le autorizzazioni di varianti in corso d’opera concesse dal ministero dello Sviluppo economico e relative all’espianto degli ulivi nella stessa località Le Paesane, passata alla cronaca per la violenta repressione della protesta popolare proprio contro lo sradicamento degli alberi.

ALTRI ILLECITI COMPRENDONO l’assenza di impermeabilizzazione dei cantieri identificati come “S1” e “S2” e area Conci del cantiere di San Basilio e lo scarico di acque reflue industriali, che avrebbero portato alla contaminazione della falda acquifera con sostanze pericolose, tra le quali il cromo esavalente.

DALLA RIAPERTURA delle inchieste nel 2018, i lavori della Procura sono durati quasi due anni e hanno preso in esame i due filoni in cui la stessa Procura aveva “raggruppato” i numerosi esposti presentati oltre che dai sindaci anche da privati cittadini e associazioni del territorio parte del Movimento No Tap. Questi riguardano da un lato la verifica dell’implementazione della normativa Seveso sul rischio di incidenti rilevanti da impianti industriali, e dall’altra i danni ambientali legati alla costruzione del gasdotto. Dopo qualche mese dalla chiusura delle indagini, nel dicembre del 2019 la procura di Lecce ha pubblicato la citazione in giudizio e annunciato l’inizio del processo ad aprile 2020, poi rinviato all’11 settembre 2020 a causa della pandemia.

IL SECONDO PROCESSO riguarda novantadue degli oltre duecento tra i residenti con procedimenti a carico per avere preso parte ad azioni di resistenza pacifica per fermare i lavori di costruzione del gasdotto. Se ritenuti colpevoli, dovranno pagare multe fino a 240mila euro e spese legali fino a 70mila euro.

L’UDIENZA, CHE SI SVOLGERÀ nell’aula bunker adiacente alla casa Circondariale “Borgo San Nicola” a Lecce, è relativa a un centinaio di capi di imputazione raccolti in tre procedimenti distinti, che vedono 56 persone accusate di avere violato un’ordinanza del Prefetto di Lecce relativa all’istituzione della “zona Rossa”, 26 provvedimenti per disordini nel corso di una manifestazione del dicembre 2017 e 46 provvedimenti per reati minori che sarebbero stati commessi tra il 2017 e il 2019.

TRA QUESTI ALCUNI REATI alquanto peculiari come “sbandieramento non autorizzato”, furto di zerbino dall’ufficio informativo locale della società, lancio di oggetti non ben identificati, “reato” quest’ultimo collegato al lancio di un mazzo di fiori durante una delle manifestazioni. “A fronte di tutto quello che abbiamo subito, le accuse a noi rivolte sembrano funzionali esclusivamente a creare una divisione nell’opinione pubblica tra buoni e cattivi” dichiara uno dei residenti di Melendugno a processo venerdì.

Gli autori sono attivisti di Re_common

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