Mario Draghi sarà in Parlamento il 23 marzo, per le sue comunicazioni alla vigilia del Consiglio europeo del 24 e 25 del mese. Sempre che non succeda prima qualcosa che imponga di riferire alle camere. Con una guerra in corso e un lasso di tempo così lungo è probabile che succeda: ieri sera la capogruppo del Pd alla camera, Debora Serracchiani, ha già chiesto al governo di riferire sul bombardamento di ieri sull’ospedale pediatrico di Mariupol. Altrimenti il 23 sarà l’occasione per fare il punto non solo sulla situazione in Ucraina ma anche, forse soprattutto, sulla strategia con la quale Italia ed Europa sperano di fronteggiare l’impatto di una crisi economica che si profila molto pesante.

Il presidente del Consiglio ne ha già parlato ieri, rispondendo a Montecitorio a una raffica di interrogazioni che riguardavano tutte salvo una proprio la reazione dell’Italia di fronte alla crisi. Draghi è apparso ben consapevole del problema e delle sue dimensioni, ha anzi aggiunto lui un capitolo molto dolente, quello del comparto agro-alimentare. Perché non c’è solo l’energia ma anche il blocco agli approvvigionamenti di grano tenero e di mais, che paralizza la produzione italiana. Su tutti i fronti, a partire da quello essenziale dell’energia, la formula di Draghi passa per una porta stratta, quella delle semplificazioni, in Italia e a livello comunitario: «Considerazioni giustificate in un contesto normale non lo sono in questo momento d’emergenza. La transizione non è solo approvvigionarsi in più di gas. È anche riuscire a capire che bisogna sospendere certe norme in un periodo di guerra». E certe altre andrebbero forse eliminate del tutto, perché il «grosso ostacolo», sull’accelerazione delle rinnovabili, «è rappresentato dai procedimenti autorizzativi e se non lo superiamo non andiamo da nessuna parte».

Per il resto l’elenco di palazzo Chigi non è diverso da quanto già annunciato e illustrato. Bisogna diversificare le fonti di approvvigionamento, perché la crisi ha colto l’Italia del tutto impreparata e nelle condizioni peggiori, con una dipendenza dal gas russo aumentata anche dopo l’annessione della Crimea, dunque con una miopia politica, in questo caso del governo Renzi, che Draghi non esita a denunciare. Quindi aumento della produzione di gas italiano, rigassificatori, ricerca sulla fusione nucleare ma soprattutto accelerazione drastica sulle rinnovabili, sempre che si riesca a superare la giungla della burocrazia. E lo stesso problema si pone per l’agricoltura, anche se qui l’ostacolo non sono le autorizzazioni ma i regolamenti comunitari, inadeguati per la rapidità imposta dai tempi.

Sui ristori per il caro energia, Draghi rivendica lo stanziamento di 16 miliardi e la riduzione al 5% dell’Iva. Numeri «impensabili» in altri momenti e che ora, invece, «non sono sufficienti» per garantire sostegno alla famiglia e sopravvivenza alle imprese. Ma la situazione è in divenire e la sensazione è che una strategia vera ancora non ci sia. Per ora il Pnrr resta quello che è, anche se potrebbe esserne chiesta la modifica in seguito. La clausola di salvaguardia europea non scatterà all’inizio dell’anno prossimo come previsto, ma sui percorsi futuri si procede al buio. Perché in realtà non si può fare altro. La sola cosa certa è che le sanzioni «prevedibilmente non dureranno poco e per durare devono essere sostenibili».