Gargouilles, il monito misterioso
Notre-Dame Una storia infinita iniziata nel Medioevo
Notre-Dame Una storia infinita iniziata nel Medioevo
Sulle chiese medievali si affacciano in alto figure mostruose che coprono le grondaie. In francese si chiamano gargouilles, un termine intraducibile per indicare le sculture grottesche provviste di corna, artigli e code, potenti evocazioni dell’arte dell’epoca, in cui sopravvivono le credenze popolari, superstizioni tollerate dalla Chiesa e incorporate nell’abbellimento degli edifici di culto. Ci può essere più di un’interpretazione del loro significato. Secondo alcune teorie sarebbero addirittura ispirate ai resti degli scheletri dei dinosauri o di altri animali preistorici scoperti negli scavi. La chiave più verosimile può risiedere invece nell’ossessione medievale per il peccato e la salvezza.
La paura dell’aldilà, la diffusa ignoranza contribuiscono alla moltiplicazione dei mostri. Il male prende una forma concreta con immagini terrificanti. Ma le gargouille grottesche potrebbero anche avere il ruolo di guardiane della chiesa, contrassegni magici che rimandano a un’altra realtà a cui gli artisti hanno dato una forma visibile. Il loro simbolismo potrebbe rappresentare il male nelle sue forme più spaventose. O anche l’imprevedibilità e il caos della vita, ai quali la struttura protettiva della chiesa medievale porterebbe rimedio. O invece le anime condannate per i loro peccati, private del permesso di entrare nella chiesa, liberate dalla dannazione eterna solo per essere trasformate in pietra. In termini sociali incarnano l’immaginario di una classe sociale considerata come barbara dalla borghesia parigina, che in quel periodo vede la città invasa da orde di contadini che vengono dalle campagne, facendo inorridire i ricchi e ipocriti benpensanti con i loro modi rozzi. Poste in bella vista, le gargouilles servirebbero allora di avvertimento per i popolani, quasi un esorcismo. Sono ben cinquantaquattro i mostri nei vari angoli di Notre-Dame a guardia della chiesa. Se il diavolo è sempre in caccia, lo stesso avviene per i mostri appollaiati a controllare i visitatori. Ovunque ti giri, sono là, spie mute e pazienti. Se guardate in alto vi osservano, non potete sottrarvi al loro sguardo maligno, che vi disapprova sempre.
Fiamme
Quando alle diciotto e cinquanta del 15 aprile 2019, prima dello scoppio del codv-16, alte fiamme si alzano dal tetto della cattedrale di Parigi. La gente esce nelle strade e le telecamere inquadrano migliaia di volti affranti, illuminati dal fuoco. Alcuni cantano inni sacri, altri piangono nel veder bruciare la loro amata cattedrale. La guglia centrale, alta novantun metri, slanciata come la punta di una freccia – composta da cinquecento tonnellate di travi di quercia stagionata tenute assieme da una fusione di piombo che la rendono compatta – si inclina di lato e si spezza come un fiammifero, sfondando il tetto in fiamme della navata centrale. Il piombo si liquefà e cola, ricoprendo le innumerevoli sculture di diavoli e draghi che assumono un aspetto ancora più sinistro fino a renderle irriconoscibili. Ma come era sorto un incendio di tale portata? Nel sottotetto polveroso si trovano delle grandi travi che si estendono da una navata all’altra, dove si accumulano vecchi pezzi di legno e di corda, cartacce abbandonate dagli addetti alla manutenzione, rametti secchi caduti dai nidi degli uccelli e vecchi vespai fragili come carta. Sarà stata la brace di una sigaretta mal spenta di qualche operaio, che stava in quel momento facendo dei lavori, o forse il cortocircuito dell’impianto elettrico ad appiccare il fuoco alle vecchie travi di quercia stagionata? L’inchiesta conclude che si tratta di un incidente involontario, assolutamente non doloso. Arrivano velocemente i pompieri, quattrocento uomini venuti da tutte le stazioni di Parigi e delle regioni vicine.
Alle ventidue tutte le campane di Parigi iniziano a suonare a lutto, mentre un flusso di parigini e turisti si reca in pellegrinaggio alla chiesa che è il monumento più visitato d’Europa. Nonostante l’impressionante dispiegamento di forze, i vigili non stanno avendo la meglio sulle fiamme. Le due torri, la nord e la sud, sono avvolte dal fuoco. Il portavoce dei pompieri spiega che non sono sicuri di riuscire a scongiurare il crollo della torre nord. Per fortuna gli oggetti sacri, il tesoro di Notre-Dame, per il momento è salvo perché si trova nella sagrestia. Non è possibile utilizzare canadair perché il velivolo rappresenterebbe un pericolo per la cattedrale e la violenza dell’acqua cadendo dall’alto rischierebbe di causare nuovi gravi crolli. Soltanto all’alba del giorno dopo, l’incendio è domato. Un anno dopo, il 15 aprile 2020, la campana della torre sud, rimasta illesa, suona per commemorare il primo anniversario del rogo.
Con inquietante preveggenza, Victor Hugo nel suo celebre romanzo Notre-Dame de Paris descrive la scena che si sarebbe svolta quasi duecento anni dopo: «Tutti gli occhi si erano levati verso la sommità della chiesa. Ciò che vedevano era straordinario. In cima alla galleria più elevata, più in alto del rosone centrale, c’era una gran fiamma che saliva tra i due campanili in un turbinio di scintille, una gran fiammata disordinata e folle di cui il vento si portava via a tratti qualche brandello nel fumo. Due doccioni dalle fauci mostruose vomitavano senza remissione quella pioggia ardente che stagliava la sua cascata argentea sopra le tenebre della facciata inferiore».
La corte dei miracoli
Ma miracolosamente il fuoco viene spento dalla cascata di piombo fuso. Siamo all’Epifania del 1482, in città sono arrivati gli zingari che hanno occupato una vasta zona di periferia chiamata «Corte dei miracoli». L’impressione di legalità è affidata agli spettacoli di magia allestiti per la popolazione ma, secondo il razzismo dell’epoca, sono truffatori e assassini. Nel romanzo l’unica innocente è la bellissima Esmeralda, che danza sulla piazza di Notre-Dame accompagnata dalla capretta Djali. La zingara è amata da tutti i protagonisti maschili del romanzo, compreso il gobbo Quasimodo, che vive appollaiato sulle gargouilles. La complessa vicenda vede l’arcidiacono monsignor Claude Frollo, protettore di Quasimodo, innamorarsi follemente di Esmeralda. Anche il capitano delle guardie Phoebus de Châteaupers la protegge, mentre lei si è affezionata a Pierre Gringoire, il poeta parigino che rischia l’impiccagione dopo essersi introdotto nel campo degli zingari. Per salvarlo, lo sposa. Frollo, travolto dalla gelosia, pugnala Phoebus, lasciando che la colpa ricada sulla ragazza, accusata di omicidio e di stregoneria. Ma quando è in prigione, le offre la libertà in cambio dei suoi favori. Esmeralda rifiuta e, dopo altre complicati avvenimenti, viene impiccata. Quasimodo sente che Frollo ride mentre Esmeralda muore. Non può non reagire. E infatti lo butta giù dalla torre e si sdraia accanto al corpo della ragazza gettata nella fossa comune , lasciandosi morire al suo fianco.
La fabbrica
La storia della cattedrale di Parigi è lunga e travagliata. Nel 1163 la chiesa comincia ad essere inadeguata alla crescita della popolazione. Sulla Rive Droite della Senna stanno aumentando i commerci e sulla Rive Gauche l’università attira studenti da ogni parte del mondo. La chiesa, posta sull’isola in mezzo al fiume, è ritenuta troppo modesta dal vescovo Maurice de Sully che fa cominciare i lavori, ma non la vede mai completata, perché ci vorranno quasi cento anni per realizzarla. Era costruita nello stile che si definisce romanico, mentre il nuovo corso dell’architettura prediligeva allora il gotico, con gli archi a sesto acuto che facevano entrare più luce negli edifici. Proprio nel Medioevo, un secolo segnato da violenze, carestie e malattie si edificarono i monumenti più belli d’Europa a cui lavorano centinaia di operai. Senza parlare degli altissimi costi, che qualcuno ha paragonato all’equivalente di un lancio sulla Luna. Gli operai vivevano in capanne di legno con tetti di paglia, dormivano per terra perché solo i ricchi possedevano un letto. Non avevano gli strumenti adatti, dovevano costruirseli. A capo dell’impresa, Maurice assume un mastro costruttore con cui ha continue discussioni per fargli capire cosa vuole. La navata centrale sarebbe stata di trentadue metri, la più alta del mondo dell’epoca. La pietra calcarea proveniva da diverse cave vicine alla città. Parigi ha bisogno di più artigiani, operai, muratori, carpentieri, addetti alla preparazione della calce. Vengono da zone lontane perché sono nomadi che si spostano dove c’è il lavoro. Sono intere famiglie in cui anche le donne e i figli più grandi possono occuparsi dell’intonacatura e della preparazione della calce.
Il cantiere comincia con il lato est perché, costruito il coro, i preti possono tenere le funzioni, mentre si continua a edificare il resto della chiesa. Per rinforzare i muri sono aggiunti archi rampanti che rendono così suggestiva la vista da far pensare a uno stormo di uccelli che spicca il volo. I rosoni sono aggiunti in seguito verso il 1240 e dieci anni dopo vengono costruite le due torri. Il lavoro più impegnativo è la fusione delle campane, quelle che nel romanzo di Victor Hugo suona il gobbo Quasimodo, che proprio per il loro suono potente è diventato sordo e muto. Notre-Dame viene completata solo nel 1260.
Nei secoli successivi la chiesa subisce il degrado delle intemperie, le mutilazioni che il tempo e gli uomini infliggono al monumento. Ma i danni maggiori arrivano con la Rivoluzione francese che rifiuta la religione e trasforma la cattedrale in «tempio della ragione», eliminando altari, statue e tutto quello che poteva ricordare il passato. Solo più tardi, il governo decide di intervenire. Nel 1843, durante il regno di Luigi Filippo d’Orléans, viene indetto un concorso, vinto dall’architetto Eugène Viollet-le-Duc, che inizia a tracciare una meticolosa piantina colorata su cui sono indicate la posizione e il tipo di ogni pietra nelle zone da restaurare. Gli operai cominciano a rimuovere le pietre danneggiate. Le statue sopra i portali erano state decapitate durante la Rivoluzione e più di sessanta dovettero essere sostituite. Le gargouilles erano ridotte in frantumi. Le campane erano state fuse per farne cannoni. Le nuove gargouilles, forse sorte per demonizzare le ossessioni dell’architetto nella grigia Parigi dell’Ottocento, erano molto diverse da quelle medievali e anche le mostruose chimere, ideate per decorare il tetto, non si armonizzavano al resto della chiesa. La nuova guglia decisamente moderna, svettava alta nel cielo vista con perplessità da tutta la popolazione. È anche vero che Viollet-le-Duc non aveva cercato di imitare un campanile medievale quando disegna quello nuovo. La restaurata Notre-Dame viene consacrata nel 1868. Ma i suoi guai non sono finiti.
De Gaulle
Alla fine della seconda guerra mondiale, Parigi viene liberata il 26 agosto 1944. Il generale De Gaulle, prima di prendere parte alla grande parata che dagli Champs Elysées dovrà arrivare a Notre-Dame per il Te Deum della vittoria, pronuncia il celebre discorso: «Parigi! Parigi oltraggiata! Parigi spezzata, Paris martirizzata, ma Parigi libera! Libera da sola, liberata dal suo popolo con la collaborazione degli eserciti di Francia e il supporto e la cooperazione dell’intera Nazione – di una Francia che combatte, dell’unica Francia, della vera Francia, della Francia eterna». Ma il suo annuncio unilaterale della parata della vittoria fa infuriare gli Alleati, che consideravano Parigi insicura perché c’erano ancora soldati tedeschi in città. De Gaulle non aveva chiesto a nessuno il permesso di tenere una funzione nella cattedrale, ma il cardinale Emmanuel Suhard, arcivescovo di Parigi, era soltanto l’ennesima autorità destinata a piegarsi davanti alla sua irresistibile forza di volontà.
Ma migliaia di parigini, decine di giornalisti e parecchi cameraman lo stanno aspettando. Affollano i marciapiedi dell’ampio viale, alcuni arrampicati sugli alberi di castagno, altri sporti dalle finestre e dai balconi, e persino in piedi sui tetti, una traboccante massa di persone che arrivava fino all’Obelisco. De Gaulle, giunto a Place de la Concorde, si sta avvicinando alla lussuosa Hotchkiss scoperta che lo aspettava per portarlo a Notre-Dame, quando si sentono degli spari. Tutti cercano riparo dietro i veicoli della Seconda divisione corazzata. Nessuno sa chi sta sparando. Il generale rimane impassibile. Non si china, non cerca riparo, non rallenta il passo, è un capolavoro di teatro politico. Quando arriva davanti alla cattedrale di Notre-Dame, risuonano altri colpi. I cecchini tedeschi si erano introdotti nella torre nord. I soldati francesi per tutta risposta sparano sventagliate di mitra sulla torre e sul tetto, facendo volare frammenti di pietra dalle statue così accuratamente restaurate da Viollet-le-Duc. La maggior parte dei presenti si getta a terra quando nella navata risuonano i colpi di arma da fuoco, tanto che si vedevano più sederi che facce.
Il recente incendio di due anni fa, con il bisogno di trovare più di mille querce secolari per sostituire quelle bruciate, accende la polemica. La petizione firmata da oltre quarantamila attivisti definisce l’abbattimento degli alberi un «ecocidio». Ma gli alberi arrivano da molte regioni della Francia. Dalla foresta di Villefermoy nella regione della Seine-et-Marne, da quattro foreste statali, dal Domaine de Berce, vicino a Le Mans. Quando i tronchi segati, ognuno dei quali costa quindicimila euro, saranno stati messi ad essiccare, potranno andare a ricomporre il puzzle sul tetto della cattedrale, definito da sempre «la foret», la foresta, proprio per la gran quantità di legno che la rivestiva. Lasceranno lo spazio a una nuova generazione di querce, che tra duecento anni creeranno una foresta tale e quale a quella che vediamo oggi.
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