Cristoforo Colombo e la scoperta dell’America sono fra i soggetti più sfruttati per ipotesi strampalate. Non che tutto si sappia, com’è sempre per un evento/fenomeno storico, ma sulle rotte oceaniche la fantasia ha viaggiato non poco. Così, quando si è cominciato a parlare del libro di Paolo Chiesa, Marckalada. Quando l’America aveva un altro nome (Laterza, pp. 160, euro 16), è sembrato che si fosse di nuovo dinanzi a uno scoop, e qualcosa di vero c’è: abbiamo un manoscritto misterioso, un appuntamento a Central Park, un’ambasciata etiope e una serie di rimandi temporali fra il presente dell’autore (nonché nostro) e l’epoca dei primi viaggi oceanici. Senonché, Paolo Chiesa è un grande filologo che lascia per una volta da parte i tecnicismi connaturati alle discipline accademiche e sfodera un senso dell’umorismo inedito: le questioni trattate in Marckalada hanno trovato già una prima pubblicazione scientifica in lingua inglese (e il racconto di ciò che ci è voluto per vederla uscire occupa alcune pagine esilaranti) e avranno approfondimenti ulteriori.

PER ORA, in forma di colto divertissement, all’agile libro Chiesa affida la storia di una cronaca che si credeva già nota, quella del cronista primo-trecentesco Galvano Fiamma, ma che invece rivela una parte inedita all’interno di un manoscritto privato che abbastanza fortuitamente, attraverso vicende pure divertenti, il filologo ha avuto occasione di leggere. Galvano era un dotto erudito enciclopedista, narra una storia universale noiosa ma la condisce di notizie geografiche prese da varie fonti. E c’è un passo nel quale parla di viaggi in una terra che si trova oltre l’Islanda e oltre la Groenlandia e che denomina, appunto, Marckalanda. Da tempo si sapeva che i vichinghi hanno raggiunto l’America settentrionale, fra Terranova e Labrador. Finora, però, la conoscenza delle loro imprese si credeva fosse rimasta confinata alle terre nordiche. Nella seconda metà del Cinquecento, alcuni studiosi tedeschi e danesi scrivevano di una regione chiamata Vinland (la «Terra delle vigne»), al di là dell’Oceano Atlantico, che navigatori islandesi avrebbero toccato nei secoli precedenti.

FRA COSTORO SPICCA il grande cartografo Ortelius, che ascrive il primo viaggio nel Nuovo Mondo ai vichinghi. Nel 1837 Carl C. Rafn pubblicò due saghe, dette «dei Groenlandesi» e di «Eirik il Rosso», nelle quali si racconta di viaggi compiuti intorno all’anno Mille.
Oggi tracce di questi insediamenti sono state individuate e i contatti sono ormai un dato accertato, sebbene ci si possa chiedere quanto siano durati. Insieme a Vinland, nelle due saghe si trova anche il termine impiegato da Fiamma ma la sua inclusione in un testo prodotto nell’Italia dei primi del Trecento ci fa pensare che queste notizie avessero una circolazione, forse, ipotizza Chiesa, per il tramite genovese, il che porta a porsi delle domande sulla possibilità che fossero giunte anche a Colombo.

Non si tratta di giudicare chi sia arrivato prima, questione del tutto priva di significato – come l’autore sottolinea. E non sarà il caso di rivangare le fantasie americane dell’Ottocento, quando la federazione era percorsa da tensioni razziali e religiose: i protestanti nordici e anglosassoni odiavano i «papisti», gli ispanici, gli irlandesi, decidendo di cogliere l’occasione per disconoscere Colombo, cattolico italiano inviato dalla Spagna.
Molte cittadine, anche nel remoto Midwest, eressero allora statue a biondi e ipotetici «scopritori» e la torre di un seicentesco mulino di Newport viene dichiarata monumento vichingo. In tempi di cancel culture Colombo ha già i suoi problemi per aggiungerne di altri. Vedremo se si riuscirà a scrivere ancora di questa circolazione di notizie al di là del mondo nordico. Nel frattempo, Marckalada non potrà fare a meno di incuriosirvi e divertirvi.