
Galileo, l’occhiale delle «sensate esperienze»
Nel marzo del 1610 a Venezia, nella stamperia di Tommaso Baglioni, Galileo Galilei pubblica il Sidereus nuncius (Avviso astronomico), «che contiene e chiarisce recenti osservazioni fatte per mezzo di un nuovo occhiale nella faccia della Luna, nella Via Lattea e nelle Stelle Nebulose, in innumerevoli Fisse, nonché in quattro Pianeti non mai finora veduti, chiamati col nome di Astri Medicei». Rivolto agli studiosi di astronomia e ai dotti, Galileo redasse in latino il resoconto delle sue osservazioni, consapevole della loro dirompente novità: «grandi invero sono le cose che in questo breve trattato io propongo alla visione e alla contemplazione degli studiosi della natura. Grandi, dico, sia per l’eccellenza della materia per sé stessa, sia per la novità loro non mai udita in tutti tempi trascorsi, sia anche per lo strumento, in virtù del quale quelle cose medesime si sono rese manifeste al senso nostro».
Verso la metà del 1609, racconta Galileo, «giunse alla nostre orecchie la voce che un certo Fiammingo aveva fabbricato un occhiale, mediante il quale gli oggetti visibili, per quanto molto distanti dall’occhio dell’osservatore, si vedevano distintamente come se fossero vicini; e di questo effetto, davvero mirabile, si raccontavano alcune esperienze, alle quali chi prestava fede, chi le negava». Sta di fatto che, ormai da quasi vent’anni, certi artigiani, in Olanda (resta memoria, tra gli altri, di un occhialaio olandese, Janssen, che, nel 1604, avrebbe realizzato una sorta di telescopio), avevano costruito cannocchiali, strumenti che erano utilizzati quali correttivi della vista, ma dei quali non si era intesa la possibile applicazione ai fini della ricerca scientifica. Non l’avevano intuita né Giovan Battista della Porta, che pure aveva indagato le leggi ottiche che, ad uno strumento come il cannocchiale, presiedono, da lui compendiate, nel 1589, nell’opera Magia naturalis; né Keplero nei suoi Ad Vitellionem paralipomena del 1604.
Galileo costruisce il suo cannocchiale convinto della estrema utilità di quello strumento se applicato alla ricerca scientifica, sicuro, come scrive, che «per ogni negozio et impresa marittima o terrestre, poteva essere di giovamento inestimabile».
Galileo constata che il cannocchiale potenzia il senso della vista mantenendolo nella sua integrità di percezione esatta, senza deformazioni o aggiunte improprie, garantendo così «la certezza che è data dalla esperienza sensibile», ovverosia dalla sensata esperienza che, Galileo ne è convinto, è rivelatrice, sempre, di ‘verità’. Cosi, scrive: «non risparmiando fatica né spesa alcuna, sono giunto a tal punto da costruirmi uno strumento così eccellente, che le cose vedute per mezzo di esso appariscano quasi mille volte più grandi e più di trenta volte più vicine che se si guardino con la sola facoltà naturale. Quanti e quali siano i vantaggi di questo strumento, così per terra come per mare, sarebbe del tutto superfluo enumerare». Solo che, ci dice Galileo, «io, lasciando le cose terrene, mi rivolsi alla speculazione delle celesti».
Così Galileo osserva gli astri luminosi da una distanza ravvicinata di quel tanto da porre evidenza, di quei corpi siderali, manifeste imperfezioni. Macchie, ad esempio, forse a revocare in dubbio la perfezione addirittura del firmamento, ossia, secondo la tradizionale scienza astrologica, quel nono cielo ove Dio e gli angeli e i santi risiedono, a narrare, dice Dante nel Convivio, «la gloria di Dio e l’opera delle sue mani», aggiunto da Tolomeo alle otto sfere mobili di Aristotele.
Ad ogni buon conto, attaccano il Sidereus nuncius dotti frati domenicani, fin dal 1612. Niccolò Lorini e Tommaso Caccini eccepiscono che l’opinione di Galileo «apparisce che osti alla Divina Scrittura». In una lettera al padre benedettino Benedetto Castelli, il 21 dicembre del 1613 Galileo, dopo aver notato che «la Scrittura in molti luoghi è necessariamente bisognosa d’esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole», ribadisce che «gli effetti naturali che o la sensata esperienza ci pone innanzi agli occhi o le necessarie dimostrazioni ci concludono, non debba in conto alcuno esser revocato in dubbio per luoghi della Scrittura».