Sarà forse anche un effetto indotto della pandemia, ma ormai ogni giorno che arriva in Terra, sentiamo quasi il bisogno di festeggiare qualcosa. Che sono spesso le cause più nobili, e rispettabili e necessarie (sul valore non si discute) ma quest’idea di dedicare o consacrare a «qualcosa», rischia spesso per sminuire l’oggetto del festeggio. L’informazione del resto gonfia notiziari e approfondimenti in uno scadenzario che prende ormai il posto di antichi rosari e litanie di valore quasi esorcistici. Il calendario, ma non solo, può fare così degli scherzi anche crudeli, oltre che ingiusti. Solo l’altro ieri, sotto la brillante etichetta del «Dantedì» (appetibile come un supermercato), si è celebrato il settimo centenario della morte di Dante sommo poeta. Ricorrenza e festeggiamento sacrosanti, che hanno rischiato di allagare nella banalità la bellezza e il senso fortissimo dei versi della Commedia.
TRA RADIO, TELEVISIONE e giornali (ma anche cartelli, striscioni e social), ogni medium ha sentito il dovere di sproloquiare sulla grandezza del sommo poeta, anche se la hit parade delle citazioni finivano col privilegiare sempre gli stessi canti e personaggi. I «professori» strologavano a spron battuto, come per altro sarebbero tenuti a fare, in maniera magari più comprensibile, in tutti gli ordini di scuola. Poi c’era l’esercito di improvvidi che ai titoli più vari, citavano proponevano e dissertavano, e soprattutto «interpretavano», quei versi scultorei e i loro protagonisti. La «festa»aveva il suo ispiratore supremo, ça va sans dire, nel ministro della cultura Franceschini, come la carica richiedeva ovviamente. Parole di circostanza che avevano un senso quando a acchiappare il pubblico ai versi danteschi era Benigni (forte della comunanza territoriale e quindi linguistica, ma anche per essersi esercitato su quelle parole da anni), forse meno per certi entusiasmi rituali che la scultorea chiarezza di quei versi rendeva quasi più «oscura».

OGGI È IL GIORNO di un’altra «trappola» di calendario fantasioso, in quanto si dovrebbe celebrare la «giornata del teatro», che suona come certe malattie rare o certe problematiche planetarie che servono solo a darci qualche rimorso, generalmente lieve. A sostenere la celebrazione ormai quasi «rituale» (se non addirittura esorcistica) è sempre in prima linea lo stesso ministro. Peccato che da più di un anno non abbia avuto molto a cuore il «teatro», prima chiudendone gli spazi come fosse il massimo focolaio del contagio, poi distribuendo i ristori e i ricoveri secondo criteri quanto meno discutibili, che hanno finito per rimpinguare le casse delle istituzioni pubbliche teatrali, statali, stabili e nazionali, con un discreto guadagno per non dover neanche spolverare le sale. Poi sono arrivate le briciole, minimi tamponi del tutto insufficienti per chi del fare teatro dovrebbe sopravvivere.

PER ONESTÀ, in questa smania tanto celebrativa quanto poco motivata (da ricordare davvero la ricorrenza dei defunti), la giornata diventa anche l’occasione per scoprire del teatro altre prospettive. Il caso principe è quello del teatro in carcere, una pratica che ha la sua intrinseca necessità nel poter abbattere, attraverso la rappresentazione, le sbarre che separano chi è detenuto dal «fuori»: non solo dalla pratica ma dall’idea stessa di libertà. Per chi è curioso di conoscere quell’universo teatrale, oggi può superare a sua volta le barriere macchinose della sicurezza collegandosi online a due diversi momenti. Dalle 15 alle 16,30 sarà visibile (su www.youtube.com/user/teatroaenigma/ nonché sul sito www.teatroaenigma.it) un seminario internazionale cui parteciperanno, dopo il saluto della ministra Cartabia, il garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, e i due registi Michalis Traitsis e Claudio Collovà, che conducono esperienze teatrali con adulti e minori rispettivamente a Venezia e Palermo. Con loro si confronterà la studiosa di Roma 3 Valentina Venturini.

ALTRA POSSIBILE VISIONE (sul sito delle Casse di Risparmio www.acri.it/peraspera21) l’incontro avvenuto ieri sul progetto Per Aspera ad Astra, finanziato da quell’associazione bancaria, cui partecipano 250 detenuti in 12 carceri disseminate nel nostro paese. All’incontro hanno partecipato, tra i molti, attori ancora coinvolti in quelle esperienze, e chi, come Aniello Arena, ha grazie a quelle acquisito una riconosciuta professionalità nel cinema. Armando Punzo ha mostrato un video di azione collettiva nella Fortezza di Volterra dal titolo Uscite dal mondo. Parola d’ordine comune, il «diritto alla bellezza». Un motto che avrebbe molto senso anche per chi sta «fuori».