Visioni

«Gagarine», le banlieue raccontate tra realtà e poesia

«Gagarine», le banlieue raccontate tra realtà e poesiaUna scena da «Gagarine - proteggi ciò che ami»

Al cinema Nelle sale da domani il film di Fanny Liatard e Jérémi Trouilh, passato a Cannes 2021. Il sogno di Yuri, il protagonista, di diventare astronauta resiste nell’età adulta

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 18 maggio 2022

Immagini in bianco e nero. Un repertorio dove risuonano voci lontane che sembrano provenire da un mondo sommerso. «È lui, Gagarin. Eccolo che arriva», grida la folla. «Conosci Gagarin? Chi è?», domanda il giornalista con quel senso di superiorità di cui si appropria inopportunamente chi possiede un microfono e una telecamera. «Il primo cosmonauta. È andato nello spazio», rispondono i ragazzini eccitati per la visita dell’eroe sovietico a Ivry-sur-Seine, uno dei comuni francesi nella periferia di Parigi, amministrati dai comunisti.

È il 1963 e nel mese di giugno nasce la Cité Gagarine, progetto architettonico, tra i tanti di quell’epoca, che portava con sé l’idea utopica di un nuovo modo d’intendere la vita insieme, di una nuova città popolata da persone in fuga e da chi cercava un luogo per tramutare i gesti e le parole in ricordi. E anche grazie a quel misterioso cosmonauta, il simbolo al quale era dedicato il grande complesso abitativo, si osava guardare avanti, addirittura oltre il pianeta stesso. Si immaginava il futuro, lo scorrere dell’esistenza, l’intreccio di molteplici storie destinate a modificarsi contatto dopo contatto.

IMPROVVISAMENTE, il bianco e nero prende colore. Tuttavia, per paradosso, dalle riprese documentarie che rimandavano a fantastici sogni si passa alla finzione che inchioda alla grigia realtà. La Cité Gagarine deve essere rasa al suolo. Nuove fughe, nuovi approdi che non evocano più il non ancora. In questo presente l’assente è ciò che non è più.
Con il trascorrere degli anni la grande impresa è fallita, come spesso accade quando in rotta di collisione sono gli interessi di pochi speculatori e quelli di un’intera collettività. Un nuovo progetto ha inizio e si chiama «riqualificazione urbana». Si demolisce ciò che non produce utili e si costruiscono edifici su cui è più semplice lucrare con la scusa del decoro, del gradimento estetico, dell’investimento che incrementa un benessere che appartiene sempre ad altri.

IL PROTAGONISTA di Gagarine – Proteggi ciò che ami, ottima opera prima di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh presentata a Cannes nel 2020 e in sala proprio nella settimana inaugurale della nuova edizione del festival, non è uno dei ragazzi del 1963 che timidamente non riesce ancora a vedersi come un futuro cosmonauta, perché troppe sono le cose da sapere. Quei bambini e adolescenti sono ormai parte di un archivio. Youri, questo il nome non casuale del personaggio principale, è invece un ragazzo che sogna di essere un astronauta, che resiste all’età adulta, che conserva il potere dell’immaginazione e che prova persino a farsi carico del passato. Ora non vi sono più masse festanti ma corpi che devono sgombrare gli edifici, ai quali è chiesto di abbandonare le proprie case per trasferirsi altrove, come se non vi fosse un diritto alla scelta e a una memoria oltre quella scritta nei libri o celebrata nelle feste di un giorno. Youri e i suoi amici combattono per la loro storia, si innamorano, litigano, giocano, fantasticano, si oppongono strenuamente a chi prova, e talvolta riesce, a esercitare un controllo totalizzante sulla vita degli altri. Una lotta impari che forse non ha possibilità alcuna di esser vinta. Eppure una piccola battaglia può essere sempre la prova di una più grande a venire.

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