Gabriele Stocchi, riservatezza al servizio dell’arte nuova
Gabriele Stocchi, fotografia «rivisitata» da Luisa Gardini, 2015
Alias Domenica

Gabriele Stocchi, riservatezza al servizio dell’arte nuova

La scomparsa, un ritratto Scialoja, "Ana Eccetera", Twombly... Gabriele Stocchi è stato un silenzioso protagonista della scena dell’avanguardia romana e non solo a partire dagli anni cinquanta. Rara figura di intellettuale multiplo, amò la poesia (Pound) e le complicità culturali (Sargentini)
Pubblicato circa un anno faEdizione del 9 luglio 2023

Dedicare un omaggio a Gabriele Stocchi, da poco scomparso, è giusto e necessario. Come farlo si rivela un problema. È stato un personaggio di rilievo, conosciuto, rispettato e molto amato tra quanti hanno a che fare, a diverso titolo, con l’arte contemporanea, ma la riservatezza della quale ha ammantato la sua esistenza rende arduo il proposito di scrivere su di lui, mettendone persino in discussione la legittimità.

È vissuto a Roma, insieme alla moglie, l’artista Luisa Gardini, compagna di tutta la vita. Per procedere nel racconto e tentare di abbozzarne un ritratto chiedo ausilio a una manciata di lemmi: arte, letteratura, amicizia, complicità, generosità, autenticità, estro, entusiasmo, continuità, discrezione e naturalmente riservatezza.

Sotto l’egida dell’arte è tracciabile la sua intera biografia, a partire dall’iscrizione, intorno al 1954 probabilmente, all’Accademia di Belle Arti di Roma, dove seguì il corso di Toti Scialoja che tra gli insegnanti aveva la fama di essere il migliore. Fine intellettuale votato alla pittura la cui tradizione aveva saputo rinnovare con i quadri di «impronte», geniali commistioni di realismo, astrazione e azione, Scialoja ebbe in sorte di coltivare alcuni di quei giovani che tra i primi vollero dipingere fuori dal quadro, servendosi di dodici cavalli vivi come fece Jannis Kounellis o di acqua e terra come fece Pino Pascali.

Nella fucina, radicalissima, della classe di Scialoja, insieme a Kounellis e a Pascali e alla sua futura moglie, Stocchi conobbe anche altri artisti, Carlo Battaglia, Marco Balzarro e Anna Paparatti che anni dopo avrebbero ritrovato a fianco di Fabio Sargentini. Oltre all’amore, nacquero in quel frangente grandi amicizie destinate a durare per sempre, complici, evidentemente, i costumi romani inclini agli affetti, ma anche la diffusa fiducia nel nuovo che generava infervorati confronti e uno spiccato spirito comunitario. Spirito che Stocchi con i suoi giovani amici sperimentò nello studio di Scialoja dove l’assiduità, la densità delle riflessioni e il sentire comune autorizzano a parlare oggi di quegli incontri nei termini di un cenacolo.

Insieme all’arte visiva, Gabriele Stocchi amava la poesia. Nel 1955, con Anna Bontempi e Martino Oberto, girò il film A proposito di Ezra Pound (lo si può vedere nel canale youtube), quasi un biglietto di auguri indirizzato al «capo riconosciuto dell’avanguardia letteraria» in occasione del suo settantesimo compleanno: un collage di immagini e di parole che faceva proprio l’appello di numerosi illustri scrittori per il ritorno in Italia del poeta, rinchiuso dal 1945 nel manicomio criminale di Saint Elizabeth a Washington. Una foto scattata il 7 luglio del 1958 al Porto di Genova ritrae i giovani amici – Gabriele con Anna e Martino, nel frattempo diventati marito e moglie – scortare Ezra Pound appena sbarcato dalla Cristoforo Colombo e finalmente libero.

Con gli Oberto, entrambi sfaccettate figure di intellettuali e di artisti, Stocchi fondò nel 1959 la rivista «Ana Eccetera». Il numero zero lo dedicarono al ritorno di Pound in Italia pubblicando i Cantos 91 e 96 tradotti da Enzo Siciliano. Espressione della polifonica kulchur poundiana e destinata a diventare modello di altre riviste d’avanguardia, «Ana Eccetera» onorava l’ossimoro non solo nel titolo – il suffisso privativo assunto da Martino Oberto come identificativo della sua prassi unito alla locuzione che allude a una quantità di altre cose –, ma anche nel modo in cui era confezionata – un insieme di volatili fogli raccolti in una cartellina –, e per i criteri, dichiarati, con i quali veniva diffusa: «in un circolo particolare, fra interessati» e «ad personam». Si è autorizzati a pensare che raggruppare o disperdere, come anche far circolare le idee o proteggerle all’interno di fidate élites, fossero le urticanti contraddizioni lucidamente e coraggiosamente affrontate dai giovani redattori alla vigilia dell’avvento di una nuova, insidiosissima, società di massa.

La riservatezza di Gabriele Stocchi non escludeva lunghe, lunghissime conversazioni, la cui memoria viene conservata ora come un’eredità preziosa da molti dei suoi amici, a cominciare dall’editore romano Stefano De Luca. Aveva diciannove anni e da poco dirigeva l’azienda del padre prematuramente scomparso, quando Gabriele Stocchi, una mattina, lo andò a trovare. Fu l’inizio di un rituale perpetrato per decenni, costellato da innumerevoli inizi di mattinata riservati all’arte della conversazione, forieri di idee e di nuovi progetti. Alcuni portati a termine come il pregiato volume su Jean Dubuffet uscito in occasione della retrospettiva curata da Lorenza Trucchi alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna, o la riproduzione, fedele persino nei danni arrecati dal tempo, del quattrocentesco Codice Capodilista.

Toti Scialoja, un’«impronta» senza titolo, 1957-’58, Roma, collezione Fondazione Toti Scialoja

Trait d’union tra i due era stato Claudio Cavazza, proprietario dell’industria farmaceutica Sigma-Tau che stampava i suoi ‘bugiardini’ presso l’Istituto Grafico Tiberino appartenente alla casa editrice De Luca e con il quale collaborava Gabriele Stocchi. È suo, lo si scopre navigando in internet, il design dello spazzolino da denti più bello mai messo in commercio, il primo scalare e bicolore, l’intramontabile Tau-Marin.

Delle imprese di Fabio Sargentini e di tutte le diverse stagioni de L’Attico, Gabriele Stocchi fu indiscusso sodale. «Artista in pectore», lo ricorda l’amico gallerista. Fu Stocchi, nel più assoluto anonimato, a realizzare per L’Attico un’infinità di pubblicazioni, molte stampate dall’Istituto Grafico Tiberino, a partire dai cataloghi delle mostre celeberrime che sullo scorcio degli anni sessanta segnarono l’avvento dell’arte nuova, autentica e visionaria, affidata alla verità dell’azione e della materia, compreso quello della collettiva Fuoco immagine acqua terra il cui titolo Stocchi compose in tipografia accostando con imprevedibile e sfrenata iterazione i caratteri di legno: Fuooooooco Immmmagine Accqqqua Terrrrrra.

De Luca ricorda di non aver mai ricevuto denaro per questi lavori, a vigere semmai era la pratica del baratto. Lo stesso, immaginiamo, sia valso per Stocchi che contribuì anche all’economia dell’impresa acquistando opere per la sua collezione. Ad esempio, la cosiddetta margherita di fuoco di Kounellis, che Sargentini ha riproposto di recente, offrendo, con il senno di poi, a molti amici e conoscenti la possibilità di accommiatarsi da Stocchi nella galleria ove erano soliti incontrarlo. Grazie a un’altra opera acquistata da Stocchi, Sargentini ricorda di aver finanziato l’allagamento che nel 1976 decretò conclusa l’esperienza del garage di via Cesare Beccaria. Altri galleristi e molti altri artisti, ma anche critici e storici dell’arte, di diverse generazioni, godettero della complicità e dell’amicizia di Gabriele Stocchi. Per accompagnare le ultime mostre della galleria di Luisa Laureati, «l’amico intelligentissimo di tutta la vita» ideò preziose cartelle che richiamano il fluido incarto di «Ana Eccetera». Cy Twombly, lo ha ricordato Luisa Gardini in un’intervista, lo conobbero nel 1957, quando l’artista si era da poco stabilito a Roma, e della loro longeva amicizia è testimonianza un dipinto del 1979 intitolato Stocchi Family Portrait.

La persistente continuità coltivata da Gabriele Stocchi nelle sue relazioni aveva una natura cangiante, perché era continuamente riformulata alla luce di nuovi entusiasmi e di nuove circostanze, lo dimostrano l’amicizia con il più giovane Nunzio, allievo prediletto di Scialoja e negli anni ottanta artista di punta de L’Attico, o il suo impegno nella Fondazione Scialoja, istituita nel 1999 per volontà testamentaria della moglie dell’artista, la critica d’arte e scrittrice Gabriella Drudi.

Altri e più accurati racconti potrebbero riferirsi alle attività di Gabriele Stocchi mettendone in luce aspetti più concreti: il lavoro di designer; gli esperimenti editoriali condotti nei laboratori della Litografia Bruni a Pomezia; l’autorità di collezionista di opere d’arte: si deve a lui, come è noto, anche la collezione appartenuta a Claudio Cavazza, giudicata tra quelle di maggior pregio in Italia; la passione di bibliofilo, che la breve descrizione di una camera di casa Stocchi pubblicata da Fabrizio D’Amico lascia intuire. E non ultima la maestria del fotografo, rari indizi della quale si rintracciano nelle sporadiche immagini pubblicate con il suo nome.

Diversamente, con i dati qui raccolti vorremmo restituire la figura di un intellettuale controcorrente, sprezzante del ruolo assegnato dalla professione, capace di grandi amicizie e di solide complicità allacciate con discrezione, ossia con selettiva consapevolezza, autore sì di oggetti eccellenti e di imprese eccezionali, ma deciso a non mettere in mostra sé stesso. Non conosciamo i motivi di questa scelta, se si trattò di rimanere fedele alle idee coltivate in gioventù o se a determinarla fu il carattere. Certo, considerando i tempi, è un bell’esempio e va celebrato, a dispetto della riservatezza.

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