Gabriele Muccino, l’amicizia e la «sfida verso il domani»
Incontri Il regista e il cast presentano «Gli anni più belli», in sala dal 13 febbraio
Incontri Il regista e il cast presentano «Gli anni più belli», in sala dal 13 febbraio
«Gli anni più belli non hanno un’età ma piuttosto uno slancio interiore» dice Gabriele Muccino a proposito del titolo del suo nuovo film – Gli anni più belli appunto – in uscita il 13 febbraio. Non sono quindi necessariamente rappresentati in maniera nostalgica dall’adolescenza – l’età che comunque «apre» il suo film, nel 1982, quando i protagonisti – Giulio, Paolo, Riccardo e Gemma – hanno 16 anni. E che crescendo saranno interpretati da Pierfrancesco Favino, Kim Rossi Stuart, Claudio Santamaria e Micaela Ramazzotti.
Il punto di partenza, omaggiato dal film e ripreso nella storia di un’amicizia a tre che si perde e si ritrova nel corso degli anni, è C’eravamo tanto amati di Ettore Scola, «ma poi — spiega Muccino – il film ha preso una strada molto distante dall’originale». Perché, aggiunge, quella generazione quegli anni e quegli ideali politici oggi sono irripetibili. Anzi: «Siamo stati schiacciati dalla storia degli altri, non ne abbiamo mai avuto una nostra. Gli anni più belli rappresenta una generazione di transizione, spaesata da tutto quel bagaglio di ideologie e sapienza politica che non siamo riusciti a metabolizzare».
Così non resta che l’amicizia, il cuore del film e il filo che lega le esistenze dei protagonisti, le quali nel «naufragio» che attraversano nel corso della storia «ritrovano la felicità nelle cose semplici che avevano conosciuto quando il mondo sembrava infinito davanti a loro». Gli anni più belli non guarda poi solo a Scola: «È il mio omaggio più ampio a quello che il cinema mi ha dato, dentro c’è tutto: Zavattini, Scola, Risi, Fellini…».
A SCORRERE insieme le vite dei protagonisti – Gianni che cede alla seduzione della ricchezza, Paolo professore precario per sempre innamorato di Gemma, e Riccardo sfortunato aspirante critico cinematografico – c’è inevitabilmente anche la Storia, nei suoi snodi più fondamentali dagli anni Ottanta a oggi: «Momenti che ho scelto – spiega il regista – perché hanno in sé un’idea forte di cambiamento. L’impatto della caduta del muro di Berlino aprì un orizzonte, una speranza di un mondo migliore. Mani pulite aprì un’idea di cambiamento, di rivoluzione, di reset di una classe politica. L’11 settembre rappresenta invece un cambiamento di segno radicalmente opposto: è il momento in cui il nostro orizzonte si chiude, in cui diventiamo vulnerabili, fragili, sentiamo che il futuro non è così vasto come pensavamo che potesse essere». E c’è anche l’ascesa del Movimento 5 stelle (che nel film diventa il Movimento del cambiamento) a cui Riccardo aderisce solo per subire un’ulteriore delusione: «Il mio personaggio – dice Santamaria – rappresenta una generazione smarrita, che cerca la sua strada in politica, in un movimento ’di pancia’».
E IL CAMBIAMENTO racchiuso nei passaggi della «grande storia» riflette, dice Muccino, la tensione dei personaggi: «Questi slanci verso il cambiamento corrispondono inevitabilmente a una continua sfida verso il domani. Tutti i protagonisti pensano che domani sarà un giorno migliore, sono proiettati verso il futuro». In questo senso, spiega, «gli anni peggiori sono quelli della stagnazione, in cui c’è la rassegnazione, l’immobilità interiore ed emotiva». Mentre gli anni più belli non sono un dato anagrafico, ma quelli «in cui si sente un movimento interiore verso un traguardo che è ancora da esplorare».
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