Gabriela Mistral, ritorno di una nomade
Ritratto di Gabriela Mistral (Arch. Central Andrés Bello)
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Gabriela Mistral, ritorno di una nomade

Pagine La storica Carla Ulloa Inostroza, cilena radicata in Messico, racconta l'archivio della poetessa da poco restituito al suo paese natale
Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 29 ottobre 2022

«Sono la voce del Messico, infilata in una gola straniera»: a scriverlo è Gabriela Mistral, nel 1925, un anno dopo aver lasciato il Paese e aver iniziato un lungo tour negli Stati Uniti prima e in Europa poi. Un viaggio supportato e finanziato dal presidente Álvaro Obregón Salido per diffondere il valore delle riforme radicali messicane, che Washington vedeva come il fumo negli occhi.

Gabriela Mistral si farà davvero voce di quel Paese che l’aveva cambiata per sempre. E quel tour si trasformerà in un pellegrinaggio diplomatico, intellettuale, politico e culturale assieme, che durerà fino alla fine dei suoi giorni, nel 1957.

È davvero poco conosciuta la stagione messicana della poetessa cilena, premio Nobel per la letteratura nel 1945. Di quei 21 mesi di residenza, iniziati proprio cento anni fa nel 1922, sono testimoni i tanti discorsi, gli articoli, le lettere, un materiale prezioso custodito dagli archivi messicani ufficialmente consegnato al presidente cileno Gabriel Boric il 24 ottobre, durante la visita della first-lady e accademica Beatriz Gutiérrez Müller. «Sono documenti che non aggiungono elementi nuovi alla ricerca storiografica, ma la consegna ha un grande significato simbolico, perché vuole sottolineare la sintonia e la complicità tra i due Paesi, in nome della nuova onda progressista che sta percorrendo l’America Latina».

Così ci racconta la storica Carla Ulloa Inostroza, cilena radicata in Messico, dove insegna Studi latinoamericani alla Unam. La studiosa ha speso gli ultimi sette anni sulle tracce della poetessa cilena e da poco ha pubblicato Gabriela Mistral. La construcción de una intellectual,1922-1924.

Finita sterilizzata per decenni come una intellettuale conservatrice e pastorale, cattolica devota e dall’aspra solitudine, negli ultimi anni la figura di Gabriela Mistral è emersa piena di sfaccettature. Il primo vero strappo si è visto solo nel 2010, con la pubblicazione dell’epistolario tra lei e Doris Dana, segretaria e compagna di vita, raccolto in La niña errante (Lumen Editorial), che l’ha catapultata come icona gay e lesbica. Ma negli ultimi anni hanno preso corpo tutte le sue idee progressiste e profondamente democratiche.

Carla Ulloa, perché è così importante il periodo messicano di Gabriela Mistral?
Il Messico allora era un laboratorio politico. È qui che scrive quasi la metà della sua produzione letteraria, è qui che forgia il suo impegno politico, ed è qui che stringe tutte le relazioni internazionali che la porteranno in giro per il mondo. Il Messico le garantisce a quel tempo le risorse materiali e politiche, oltre che un capitale simbolico che mai avrebbe potuto avere in Cile.

Ma come arriva in Messico?
Ci arriva su invito di José Vasconcelos, uno degli intellettuali più prestigiosi del Paese, che il presidente Obregón nomina a capo della Segreteria di educazione pubblica, la Sep, per sviluppare le politiche culturali e l’alfabetizzazione di massa. Vasconcelos invita una serie di intellettuali latinoamericani, chiedendo di partecipare alla rivoluzione democratica che sta vivendo il Paese. Lui lo pensa anche come un modo per stringere una rete di alleanze capace di togliere il Messico dall’isolamento in cui lo stringono gli Stati Uniti, apertamente infastiditi da quell’esperienza. All’epoca, Gabriela Mistral si è già fatta conoscere in Messico pubblicando in varie riviste e ha attirato l’attenzione con El Grito, un saggio in cui critica aspramente le ingerenze e l’imperialismo statunitense.

Dunque, a cosa si dedica una volta arrivata in Messico?
Ha un contratto per scrivere e fare conferenze: formalmente, è una sorta di funzionaria della Sep. Lei ricorre il Paese, incontra studenti e maestri, tiene lezioni e discorsi: io la definisco una agitadora social, perché davvero si comporta come un’attivista a tutto tondo. E in quei 21 mesi dà il massimo di sé. Un’esperienza che non dimenticherà: è un cambio di vita radicale rispetto al Cile, dove l’eccesso di lavoro come insegnante e la precarietà economica non l’avevano fatta emergere. Già un mese prima del suo arrivo, Obregón autorizza alla Sep una spesa di 2 mila pesos per l’alloggio e gli spostamenti nei suoi primi mesi, assicurandole uno stipendio di 25 pesos giornalieri, più di quello che riceve Diego Rivera come capo del Dipartimento di arti plastiche alla Scuola nazionale di Belle arti.

E lei sfrutta al massimo la residenza messicana
Sì, sfrutta al meglio tutte le relazioni che riesce a tessere con il mondo accademico e intellettuale messicano e latinoamericano, ma anche politico. Nel frattempo, pubblica una quantità di testi e pure due dei suoi più importanti poemari, mentre un terzo scritto in Messico andrà in stampa in Spagna. Di più: costruisce una relazione personale e di stima con il presidente Obregón, tanto che sarà lui a finanziarle il tour che la porterà negli Stati Uniti e in Europa, dove comincerà a collaborare con la Società delle Nazioni e via via costruisce il suo ruolo diplomatico e culturale.

Come si spiega la riscoperta di una intellettuale considerata per così tanto tempo innocua e conservatrice?
Fondamentale è stato il lavoro di storiche e ricercatrici femministe. Io stessa mi sono appassionata di Gabriela Mistral dopo aver ricercato a lungo le scrittrici latinoamericane di fine Ottocento, una genealogia di voci invisibili, di cui ci sono rimasti solo frammenti.
Lei è la prima donna latinoamericana ad ottenere il Nobel e a quel punto nessuno può evitarla: è stato soprattutto durante la dittatura che la sua figura è finita rannicchiata in un cliché conservatore.
In realtà è stata una intellettuale che ha avuto un ruolo politico straordinario. Siamo abituati alle voci di poeti e intellettuali impegnati politicamente, pensiamo a Pablo Neruda. Lei è una figura diversa, perché lavora su un altro piano, non così esplicito, eppure lascia traccia del suo pensiero latinoamericanista, il suo impegno per i poveri, la riforma agraria, l’alfabetizzazione e tutto il lavoro umanitario a favore dei rifugiati della guerra civile spagnola.

E che relazione ha Gabriela Mistral con il mondo politico cileno del suo tempo?
Complicato, come la sua vita umile trascorsa là. Quando arriva in Europa, utilizza il suo lavoro prestigioso alla Società delle Nazioni per proporsi come console. Lo ottiene vent’anni anni prima che le donne cilene avessero il diritto al voto, ma è un incarico ad honorem, gratuito, che lei usa per il suo lavoro di diplomazia culturale e umanitaria. Nel 1929 il governo le ritira lo stipendio da maestra e rimane in Italia senza risorse economiche: allora scrive e dà conferenze per avere dei soldi. D’altra parte, guarda con diffidenza l’esperienza sovietica e le sinistre del suo tempo. E allo stesso tempo è profondamente antifascista, democratica, riformista e cristiana. Ed è molto attenta a tutto ciò che si muove nel campo progressista: è del 1949, già premio Nobel, una lettera che invia a Salvador Allende, allora senatore, per appoggiare il suo impegno per la pace. Un lascito enorme che ora solo la nuova onda progressista riconosce.

E con il mondo culturale cileno?
Complicato pure quello: solo nel 1951 riceve il Premio nazionale di letteratura, ben sei anni dopo il Nobel. Ritorna tre anni dopo, una folla enorme la acclama, accompagnata da Doris Dana, quando riceve il Dottorato honoris causa. Eppure solo nel 1956, un anno prima di morire a New York, riceve una pensione sociale. La élite culturale cilena, in mano a uomini di classe alta di Santiago, la sopporta come una «eccezione», una «santa», «virile» e «divina», come la apostrofano da sempre, dal 1920 in poi. La riscoperta attuale si spiega secondo me per la profonda attualità del suo pensiero, nel momento in cui si parla con forza, grazie ai movimenti sociali, di educazione e giustizia sociale, come mai prima d’ora.

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