Cultura

Gabriel, assassino cresciuto fra fiabe atroci

Gabriel, assassino cresciuto fra fiabe atrociParticolare del monumento ai fratelli Grimm di Hanau

Narrativa cilena «Non leggere i fratelli Grimm» di Ivan Maureira Ortiz, pubblicato da Edicola

Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 20 gennaio 2022

Un padre distratto, ossessionato e abbagliato dal cinema di Walt Disney; una gringa che per Disney lavora e che porta il significativo cognome di Burbank; l’orfano Gabriel, che diffida del mondo esterno fino al momento in cui il destino gli assegna, in prima elementare, una meravigliosa compagna di banco; Anastasia, tata decisa a fare del suo protetto un serial killer; un bambino abusato che diventa abusatore; una galleria di indegni «cattivi» da sopprimere… Su questi personaggi che incrociano i loro destini entrando e uscendo dai capitoli del breve romanzo Non leggere i fratelli Grimm (Edicola, pp. 110, euro 13), opera prima del cileno Ivan Maureira Ortiz, aleggia l’ombra di un assassino autentico, il francese Emile Dubois, giustiziere dei ricchi fucilato nel 1907 a Valparaiso e trasformato in santito dalla devozione popolare.
È al suo intervento miracoloso che vengono attribuire le morti di cui è responsabile Gabriel, programmato per il delitto da Anastasia cui le fiabe dei Grimm hanno insegnato, nel corso dei lunghi anni trascorsi all’orfanotrofio, che tutto è lecito, pur di vendicare le ingiustizie della vita. Sottoposto a una ferrea dieta di atrocità fiabesche, il giovane Gabriel soddisferà pienamente le aspettative della sua tata, trasformandosi in esempio vivente dell’illimitato potere delle storie e di quanto sia pericoloso e incauto prenderle alla lettera.
Ma anche gli adepti di Walt Disney (che «ripulì le fiabe originali di ogni elemento che potesse disturbare la morale e ostacolare le vendite, trasformando i cruenti racconti della tradizione orale in qualcosa di simile alla birra analcolica») a volte si stancano di essere buoni: per scoprirlo basta arrivare al finale di questo paradossale e brillante esercizio di humor nerissimo, che è anche una suggestiva parabola sull’infanzia e sul narrare.

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