Visioni

Furore senza ritorno, favola nera sul presente

Furore senza ritorno, favola nera sul presenteUna scena da "Black Star" – foto di Alice Durigatto

A teatro In scena "Black Star" di Fabrizio Sinisi

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 16 dicembre 2023

Le finestre della contemporaneità si aprono (e chiudono) su panoramiche inquiete e maleodoranti. Materia che il cinema frequenta con ondulante destrezza. Forse più complicato, perché non consente la fluidità narrativa del «fuori campo», il compito del teatro. Di questa apocalittica smania di farsi cronaca, paradigma di un mondo alla deriva, sciupato da frane esistenziali e derive sociali, soffre la lunga parabola in quattro quadri (allucinatoria via crucis che tutti alla fine ci colpevolizza come inermi testimoni di inaudite dissolvenze umanitarie) di Black Star, quattro tempi di un precipitare senza ritorno, dominato dalla paura, una violenza omerica dal furore scespiriano, che nidifica nel bel mezzo delle nostre piccole esigenze di sopravvissuti, ma solo perché nati dalla parte «giusta« della terra.

NEL PRIMO QUADRO, protagonista frastornante, senza un attimo di tregua, è una donna non più giovane, decisamente attratta da pulviscoli esotico trasgressivi, che si affida all’esaltazione di un innamoramento profano, un «altro» essere da incrociare, salvo alla fine misurarne il grado di «inaffidabilità», non più fisica ma culturale. Nel secondo, succedono cose orribili, dal tinello domestico trascinati in una scia di sangue che riverbera quello «a freddo» di Truman Capote. Nel terzo, la criminale falsità istituzionale del matrimonio, più o meno borghese, genera affondi vendette grida, scatena laviche rivendicazioni da una parte e dall’altra. Nel quarto infine viene a galla tutta la ferocia di un mondo (il nostro) che non sa più riconoscersi e riflettersi se non in sè stesso.

LA CACCIA al «diverso» continua con efferata determinazione. Vittima designata, in quanto corpo estraneo, iscritto nella circolarità della trama, un giovane nero, un figlio dell’altro mondo, cosciente, consapevole icona della propria estraneità, che con declamatorio furore ci trafigge, riesumando tutta la «civile» coerenza di un continente (leggi Europa) che dell’esproprio sistematico delle altrui terre si è fatto, e continua, a farsi vanto. Rimugina Storia e storie Fabrizio Sinisi. Le sue riflessioni esternazioni socio esistenzial politiche finiscono sul ring di questo Black Star, fenomenologia dei tempi presenti, azzimati di capitalismo colonialismo razzismo, approdato per la regia di Fabrizio Arcuri al Metastasio, che lo produce insieme a Css Udine e Tpe Teatro Piemonte Europa, valorosi interpreti Gabriele Benedetti, Martin Chishimba, Michele Guidi, Aglaia Mora, Maria Roveran, scene e costumi Luigina Tusini, musiche composte ed eseguite dal vivo alla chitarra e basso da Giulio Ragno Favero. La regia di Arcuri sfreccia fra fumi e traiettorie, sciama sul palco e investe la platea, un corpo scenico che si mette a nudo, una terra desolata intrisa di dolorose ambiguità, una favola nera incorniciata da un funereo paravento di nastri argentati.

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