Sono fuori gioco i due favoriti della campagna elettorale per le presidenziali in Iran. Se il presidente uscente Mahmud Ahmadinejad promette di presentare un ricorso direttamente alla Guida suprema, Ali Khamenei, per la riammissione del suo delfino, Esfandiar Rahim Mashei, poche speranze restano per Hashemi Rafsanjani, l’ex presidente tecnocrate che potrebbe terminare qui la sua campagna elettorale. A fianco di Rafsanjani, si è schierata ieri la figlia dell’ayatollah Khomeini. In una lettera alla Guida suprema ha chiesto la riammissione dell’ex presidente.

Tra gli otto candidati fin qui approvati spiccano il capo-negoziatore per il nucleare, Said Jalili, e il sindaco di Tehran, Mohammad Baqer Qalibaf, entrambi molto vicini ad Ali Khamenei. A questo punto sarebbe in corso una vera e propria resa di conti per individuare un unico candidato forte tra i conservatori. Uno dei favoriti sarebbe Saeed Jalili: candidato più popolare rispetto all’ex ministro della Salute, Baqeri-Lankarani, abbandonato dall’ayatollah radicale Mesbah-Yazdi, a guida del movimento conservatore, Fronte della Perseveranza. Dal canto loro, anche se ufficialmente non si schierano, i Pasdaran sembrano pronti a un endorsement per Jalili. Nel 2005 furono loro a convincere la Guida suprema Ali Khamenei a preferire Ahmadinejad all’attuale sindaco di Tehran e allora capo della Polizia, Mohammad Baqer Qalibaf. Alcuni media iraniani ufficiali, hanno segnalato che la sezione di Esfahan del così detto Fronte della resistenza, vicino ai Pasdaran, avrebbe deciso di appoggiare Jalili. Esfahan ha un’importanza fondamentale negli equilibri politici del paese soprattutto perché rilevanti interessi economici dei Pasdaran ruotano intorno al suo polo industriale (raffinerie del petrolio e siderurgia, come l’acciaieria Mobarakè).

Dell’intero fronte riformista alle elezioni non ci saranno che briciole, incarnate in Mohammad Reza Aref, uomo dell’establishment ed ex braccio destro di Khatami. «Non esistono movimenti alternativi attivi all’interno del paese in questo momento. Gli attivisti avranno il loro giornale e il loro libro più facilmente pubblicato se accettano di lavorare con il regime. L’Iran è un paese militarizzato, chiunque teme che, per una sola manifestazione, possa passare la vita in prigione», spiega al manifesto Ahmed Eshghiar, attivista del movimento della diaspora Unisci l’Opposizione, Udi, di cui fanno parte Sazgara e Khadem, due esuli e politici nei primi anni seguenti la rivoluzione del 1979. «La situazione è peggiorata rispetto a quattro anni fa, nessuno vuole rischiare. Nei giorni scorsi, nel centro di Tehran, una conduttrice radiofonica è stata fermata e portata via dai Pasdaran che volevano controllare chi fosse: tutto è andato in diretta radiofonica», ammette l’attivista. Tra i siti e i blog di riferimento di questi movimenti particolarmente interessanti sono Kalamé, vicino al politico riformista agli arresti domiciliari Hussein Mousavi, e Taghato, canale al quale collaborano gli attivisti Husein Hezlamadi e Amir Etemadi Bozorg.

Secondo il Comitato per la protezione dei giornalisti, Cpj, alla vigilia delle elezioni, almeno 40 giornalisti sono detenuti nelle prigioni iraniane. Poiché i giornalisti critici verso il regime continuano ad entrare e ad uscire dalla carcere, gli attivisti di Cpj denunciano gli effetti devastanti della prigionia prolungata sull’attività della stampa iraniana indipendente. Secondo questo Comitato, tra il 2007 e il 2012, 68 giornalisti iraniani sono stati costretti all’esilio poiché minacciati di molestie o di essere arrestati. Le autorità hanno oscurato milioni di siti web e pubblicazioni riformiste, lanciando una campagna di sorveglianza elettronica su specifici temi, censurati nel dibattito pubblico. «Molti degli argomenti di cui potevamo occuparci fino a cinque anni fa sono ora proibiti», ci spiega Omid Memarian, giornalista iraniano in esilio in Europa.