Cominciò proprio contro le gabbie. Nella foto in bianco e nero risalente alla fine degli anni 1960, l’agronomo inglese Peter Roberts regge un cartello con su scritto: «Vietare gli allevamenti in batteria». L’immagine fa parte della storia di Compassion in World Farming (Ciwf), che lo stesso Roberts e sua moglie Anna fondarono nel 1967, dopo aver provato invano a sensibilizzare alcune organizzazioni zoofile sulle condizioni degli animali nella moderna zootecnia intensiva. Da allora Compassion è diventata un movimento globale per il miglioramento del benessere degli animali da reddito – un po’ come hanno fatto il Brooke Hospital e il Donkey Sanctuary nel campo degli equini da lavoro.

OGGI, CON LA CAMPAGNA «Fine corsa per gli allevamenti intensivi», lanciata nel novembre 2022, Ciwf è impegnata ad accendere i riflettori sull’impatto che i sistemi zootecnici hanno non solo sugli animali, ma anche sull’ambiente e la salute umana. Del resto il 2 marzo 2022 l’Assemblea delle Nazioni unite per l’ambiente (Unea-5) ha adottato una risoluzione cruciale, chiedendo al Direttore esecutivo del Programma Onu per l’ambiente (Unep) di preparare un documento che esplori il legame fra benessere animale, situazione ambientale (clima, inquinamento, tutela degli ecosistemi…). E salute.

SULLA TRASFORMAZIONE GLOBALE dei sistemi alimentari, Compassion organizzerà il prossimo maggio la conferenza internazionale Extinction or Regeneration, a Londra l’11 e 12 maggio 2023, con esperti e attivisti che affronteranno il tema da diversi punti di vista. Ma come chiudere il capitolo della zootecnia intensiva senza incidere sulla domanda di cibi animali? Spiega Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf Italia: «Allevare in sistemi più rispettosi del benessere animale suini e polli – incluso all’aperto – non richiederebbe un consumo eccessivo di terreno. Comunque, è chiaro che un punto centrale della nostra campagna, che tematizzeremo anche nella conferenza di maggio, è l’assoluta necessità di ridurre il consumo di carne a livello globale, ma soprattutto nei paesi industrializzati, maggiori consumatori. Uno dei nostri obiettivi è spingere verso la riduzione di produzione e consumo di carne rossa, pollame e pesce del 70% nei paesi ad alto consumo entro il 2030 e del 60% globalmente entro il 2050».

SONO 87 MILIARDI OGNI ANNO GLI ANIMALI di terra negli allevamenti intensivi – circa due animali da reddito su tre nel mondo. E sott’acqua, si stima che siano allevati fra i 51 e i 167 miliardi di pesci di diverse specie, molti dei quali in modo intensivo. Nel documento di Ciwf Factory farming – Key facts and figures si trovano le fontI dei dati, fra cui ad esempio la Fao e fishcount.org). Se a questo si aggiunge la zootecnia futuribile in grattacieli di decine di piani, il cammino per uscirne appare faticoso.

E NEL MONDO SONO ANCORA DIFFUSE le gabbie, le forme più esasperate della zootecnia intensiva. Galline ovaiole, scrofe (in gabbie di gestazione e allattamento), vitelli, conigli, quaglie, anatre, oche. Secondo le stime di Compassion, «4-7 miliardi di animali sono tuttora tenuti in gabbia, ovvero solo una frazione di tutti gli animali allevati a scopo alimentare. Può sembrare una cifra limitata, ma occorre tenere che la maggior parte degli animali allevati a scopo alimentare è costituita da polli da carne. I quali, a differenza delle ovaiole in batteria, vivono la loro breve esistenza generalmente in affollatissimi capannoni, dunque formalmente a terra».

SUL LATO NORMATIVO, PASSI AVANTI si stanno facendo, per la fuoriuscita dalle gabbie, anche fuori dall’Ue. «Ma le leggi variano anche rispetto al tipo di gabbia: alcuni Stati ne vietano alcune e ne permettono altre. Per esempio, Israele ha recentemente vietato le gabbie nella propria produzione di uova permettendo però un tempo di dismissione fino a ben 15 anni per le gabbie già in uso. Taiwan lo scorso anno ha vietato gabbie in batteria per le anatre ovaiole, cosa che, considerando non esistono gabbie arricchite nella legislazione taiwanese, vieta di fatto tutte le gabbie per questa specie», spiega Compassion.

MA POTREBBE ESSERE UNA SCAPPATOIA, la fine delle vere e proprie gabbie? La Cigr – International Commission of Agricultural and Biosystems Engineering, nel 2014 in riferimento all’allevamento dei bovini da latte, ha affermato che «il controllo della popolazione microbica e la disponibilità di ricoveri confortevoli sono i due aspetti più importanti per preservare la salute degli animali».

UN SEMPLICE MIGLIORAMENTO DEI SISTEMI di stabulazione potrebbe dunque essere un modo, da parte dell’agribusiness e dei politici, per dire «bene, senza gabbie garantiamo il benessere animale, adesso lasciateci allevare»? Secondo Annamaria Pisapia, «le gabbie rappresentano uno dei simboli più crudeli della zootecnia, per cui vietarle definitivamente vuole dire risparmiare tanta sofferenza a milioni e milioni di animali. Inoltre, questo divieto rappresenta un passaggio obbligatorio per cominciare a smantellare l’intero sistema industriale. Ma concordiamo che vietare le gabbie non basta, tutt’altro; e basti pensare alle altissime densità di allevamento a terra dei polli broiler e altre specie avicole, ammassati letteralmente gli uni sugli altri. Il percorso da fare è quindi molto più ampio, ma la fine delle gabbie è il primo importante passo».

UN ALTRO PROBLEMA SONO i micro-allevamenti, magari in batteria e in spazi comunque ristrettissimi, mantenuti da piccoli allevatori di sussistenza in aree povere. Come faranno? In Europa gli allevamenti sono sussidiati e ci saranno fondi pubblici per la transizione verso la fine delle gabbie; ma altrove? Secondo Ciwf, «le gabbie non possono mai soddisfare i bisogni comportamentali di base degli animali e non sono accettabili in nessun sistema. Gli allevatori, tanto più se piccoli e poveri, dovrebbero essere aiutati a eliminare le gabbie, dai governi dei loro paesi o da altri attoridella filiera. Allo stesso tempo non possiamo dimenticare che l’allevamento intensivo in generale svantaggia quei piccoli produttori che utilizzano sistemi più rispettosi del benessere animale».