L’alternativa alla «didattica a distanza» (Dad) a cui sono condannati gli studenti delle superiori da quasi un anno di pandemia, potrebbe chiamarsi «Didattica Alternativa Diffusa». Con questa espressione gli studenti del liceo classico Socrate di Roma hanno chiamato ieri, durante lo sciopero nazionale contro la Dad, le lezioni in presenza fuori dagli istituti, le attività culturali, i dibattiti che, ad esempio, i coetanei del Tasso chiamano «sit-in culturali» in sicurezza. Se le regioni e il governo, sprofondati in una violenta crisi politica che sta facendo a pezzi il diritto costituzionale allo studio, non sono capaci di organizzare il rientro a scuola, ora gli studenti pensano di portare il loro diritto in città, prospettando un’istruzione liberata dalle gerarchie rese ancora più opprimenti dal “clima asettico, scandito da un ritmo estenuante, che non tiene conto della qualità ma solo della quantità delle ore» di un didattica sanitarizzata e per di più frammentata e alternata al 50% tra presenza e online. Un incubo distopico contro il quale lo sciopero di ieri ha preso parola, portandola anche sotto il ministero dell’Istruzione a Viale Trastevere e davanti alle regioni e alle prefetture di tutto il paese. A Roma una nascente autonomia studentesca l’avevamo vista balenare già in un’occupazione-lampo della vecchia stazione abbandonata di Trastevere. Ieri l’inquietudine prodotta dall’alienazione psico-fisica e telematica ha preso una forma generale anche in una lettera, sei pagine di analisi precisa della scuola pandemica, sottoscritta dai rappresentanti degli studenti di 50 licei della Capitale. Un documento collettivo di peso che segue il fuoco di fila delle decine di mozioni pubbliche presentate da migliaia di docenti, genitori e personale Ata delle scuole romane che abbiamo pubblicato sul nostro sito ilmanifesto.it/lettere. Spicca la dura polemica contro il protocollo dei trasporti adottato per la riapertura del 18 nel Lazio. Dall’essere trascurate, questa è la denuncia, ora le scuole sono state assoggettate alle priorità delle aziende di trasporto locale senza essere ascoltate. Tutti chiedono un piano serio al governo e, nei numerosi documenti, c’è chi sostiene la Dad al 100% finché il contagio non diminuirà.

LA PRATICA dell’istruzione diffusa con lezioni in piazza e Dad «in presenza» fuori dalle scuole è stata seminata dalla mobilitazione di «Priorità alla scuola» che anche ieri è tornata a manifestare da Milano a Napoli, nella regione Campania più martoriata con soli 14 giorni di scuola in presenza da marzo scorso. Protagonisti di una delle proteste più intelligenti degli ultimi tempi sono stati anche gli studenti delle medie da Torino in giù. Questa mobilitazione ha elaborato un’agenda di rivendicazioni diventata ormai comune alle quali né il governo, né le regioni sono riusciti a rispondere in questi mesi, se non parzialmente e in maniera contraddittoria come dimostra il nuovo fallimento della riapertura delle superiori. Ieri è avvenuta solo in Toscana, Abruzzo e Valle d’Aosta, non in altre sedici. Studenti, docenti e genitori chiedono quello che non hanno mai ottenuto dal primo lockdown: più spazi per dimezzare le «classi pollaio», stabilizzare i docenti e il personale precario per aumentare la didattica in presenza; medicina scolastica tamponi in ogni scuola e tracciamento sicuro; trasporti dedicati per ogni scuola e, oggi, inserimento del personale scolastico ad alto rischio nella «fase uno» dell’agenda vaccinale.

NELLE PAROLE e con i corpi portati fuori dagli schermi dagli studenti ieri è emersa la consapevolezza della «strumentalizzazione» e della «propaganda» fatta dal governo, dalle forze politiche e dalle regioni sulla scuola. Una risposta alla ministra Azzolina e alla sua polemica contro le regioni che non hanno rispettato l’accordo del 23 dicembre scorso sul rientro. Ieri ha sostenuto che la «Dad non funziona, gli studenti sono arrabbiati, hanno ragione». Gli studenti sono arrabbiati perché il governo non riesce a garantire il diritto allo studio e a stabilire la sua priorità rispetto a quello del profitto in una recessione. Ieri la scuola è ridiventata un altro capitolo della crisi politica in cui agonizza il governo. La ministra della famiglia Bonetti (Iv) ha detto, al suo governo, che «dovrebbe chiedere scusa» per il suo fallimento. «Possiamo dire che è indecente?» ha aggiunto la ministra Bellanova (Iv). Alle ministre ha risposto il segretario Pd, presidente del Lazio, Zingaretti: «I membri del governo che intervengono senza offrire soluzioni non si rendono conto che danneggiano il governo di cui fanno parte – ha detto – Deve essere chiaro, senza ipocrisie o silenzi, che l’apertura in presenza delle scuole porterà ad un ulteriore aumento della curva ed è molto probabile che presto molte aree torneranno in zona rossa».