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Fuori bersaglio raid Israele su Latakiya

Fuori bersaglio raid Israele su LatakiyaCaccia israeliani – Reuters

Siria Il New York Times rivela che il 5 luglio i cacciabombardieri di Tel Aviv non hanno distrutto i missili antinave russi "Yakhont". Damasco li ha già spostati in un sito sicuro

Pubblicato circa 11 anni faEdizione del 4 agosto 2013
Michele GiorgioGERUSALEMME

Il raid aereo israeliano del 5 luglio contro un deposito di missili a Latakiya, il quarto attacco dall’inizio dell’anno e il meno pubblicizzato contro la Siria, sarebbe stato un fiasco. Per la precisione un mezzo fiasco, almeno da quanto ha scritto nei giorni scorsi il New York Times. Sganciati dallo spazio aereo internazionale, i razzi aria-terra israeliani avrebbero dovuto ridurre in un ammasso di lamiere contorte i missili anti-nave “Yakhont” (P-800 Oniks), forniti nei mesi scorsi da Mosca all’Esercito siriano. Invece le potenti esplosioni, riferite da molti testimoni, avrebbero ucciso una ventina di soldati siriani della caserma di Safira (a pochi km da Tartus, scalo privilegiato nel Mediterraneo delle navi da guerra russe) ma distrutto solo una parte dei missili “Yakhont”.

Secondo il Nyt, l’intelligence Usa avrebbe accertato che i siriani hanno subito trasferito i missili superstiti in altre basi. Poi hanno distrutto completamente il deposito preso di mira dagli aerei israeliani, in modo che le immagini scattate dai satelliti-spia potessero confermare l’avvenuta eliminazione di tutti i missili “Yakhont”. Il Pentagono non ha commentato queste notizie e Israele, tenendo fede alla sua linea abituale, non ha confermato e neppure smentito l’attacco, limitandosi a ripetere che non permetterà il trasferimento di armi «strategiche» ad altri attori regionali, in questo caso al movimento sciita libanese Hezbollah.  Da parte sua Damasco ha scelto di non ammettere i recenti raid aerei israeliani, per sfuggire all’accusa di non difendere il Paese dalle aggressioni esterne.

La Siria perciò in questa occasione avrebbe beffato Israele che, visti i risultati,  potrebbe lanciare nuovi raid aerei. Tel Aviv intende conservare la supremazia strategica nella regione e impedire agli avversari più tenaci e meglio preparati – come Hezbollah – il possesso di armi in grado di limitare la sua capacità di iniziativa militare. I missili “Yakhont” sono una di queste armi. Si tratta armi anti-nave dotati di sistemi radar dell’ultima generazione con un raggio (a bassa quota) di 120 km, una velocità superiore a Mach 2 e una testata di 250 kg di esplosivo ad alto potenziale. Trasportati da unità mobili, sono in grado di minacciare la Marina dello Stato ebraico e, potenzialmente, di tenere sotto tiro i giacimenti israeliani di gas offshore. In questa chiave si spiegano anche gli altri tre raid aerei (il primo a fine gennaio, gli altri due il 3 e il 5 maggio) compiuti a sud di Damasco e intorno alla capitale siriana per bloccare – secondo la versione data da Tel Aviv e attraverso canali diplomatici e giornali stranieri – “convogli” con i razzi antiaerei russi SA-17 e missili balistici iraniani Fateh 100 in apparenza destinati a Hezbollah.

Sino ad oggi Israele, forte della sua superiorità aerea, ha avuto le mani libere tutte le volte che ha deciso di colpire obiettivi in Paesi arabi, a cominciare dal Libano. Il possesso di armi più sofisticare da parte dei suoi “nemici” ora lo espongono alle ritorsioni.  E forse non è un caso che in questi ultimi anni Israele, pur violando di frequente lo spazio aereo libanese, non abbia più compiuto blitz nel territorio del Paese dei Cedri. Sa che sarebbe immediata la risposta di Hezbollah che già durante la guerra del 2006 lanciò migliaia di razzi katiusha provocando un numero relativamente basso di vittime civili ma panico diffuso tra centinaia di migliaia di israeliani residenti nel Nord del Paese. Il movimento sciita  afferma di possedere anche razzi a lungo raggio, in grado di colpire Tel Aviv. Dotandosi di missili anti-nave “Yakhont”, Hezbollah potrebbe rispondere ad eventuali raid iin Libano prendendo di mira anche le navi da guerra israeliane. Già nel 2006 i guerriglieri sciiti danneggiarono gravemente una corvetta dello Stato ebraico con un missile anti-nave di fabbricazione cinese ricevuto dall’Iran.

La posta in gioco ora è anche il gas. Tel Aviv e Beirut di recente sono state ai ferri corti anche per l’avvio dello sfruttamento di questa risorsa energetica da parte di Israele a cavallo delle acque territoriali tra i due Paesi. Adesso che è tutto pronto per l’esportazione del gas (30 trilioni di metri cubi con un valore di 60 miliardi di dollari) Israele sente di essere vulnerabile. Al momento è impensabile, considerati i rapporti freddi con Ankara, che il gas israeliano sia esportato in Europa attraverso la Turchia. Inoltre il quadro regionale si è complicato negli ultimi due anni e Tel Aviv ha deciso di rafforzare la protezione dei giacimenti offshore acquistando da altri Paesi, con 700 milioni di dollari, almeno quattro unità navali in grado di difendere le piattaforme e le navi cisterna da ogni tipo di attacco, dai missili ai raid con motoscafi. Alla fine però Israele potrebbe vedersi costretto ad esportare il gas attraverso il Mar Rosso.

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